Capezzana e le Splendide Ville di Carmignano

Scopri come la straordinaria zona di Carmignano, l'azienda vinicola Capezzana e come la storia medicea di Capezzana si intrecciano con la realtà di oggi.

Di Lele Gobbi
Apr 05, 2021
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CAPEZZANA E L’AGRICOLTURA: UN LEGAME ANCESTRALE


Il mondo del vino toscano è particolarmente ricco di personaggi e cantine che con il loro lavoro hanno lasciato un segno duraturo nelle vicende enologiche, passate e presenti, della regione. Ognuno di loro infatti, grazie a un’intuizione, a un’idea o a un progresso ha permesso al vino toscano di consolidare la sua fama.

La famiglia Contini Bonacossi ne fa degnamente parte, poiché Capezzana è partecipe dell’agricoltura biologica già 1200 anni fa, vale a dire pura linfa e ossigeno per comprendere la notevole vocazione vitivinicola ed olivicola del comprensorio di Carmignano. In altre parole, in medio stat virtus, a dimostrazione, ancora una volta, dei pregi delle colline centrali toscane che, spesso e volentieri, conservano un clima continentale, ma con deliziose venature mediterranee, senza eccessi e senza particolari difetti in punte di condizioni atmosferiche, termiche o di luminosità.
 

 

IL CARMIGNANO: UNA LUNGA E IMPORTANTE STORIA

Per collegare le radici del piccolo paese di Carmignano, a due passi da Prato, con il vino, si può iniziare a ragionare addirittura 3 millenni fa, in epoca pre-romana, per il ritrovamento di vasi vinari all’interno di alcune tombe etrusche e l’assegnazione da parte di Cesare ai suoi veterani, tra il 50 e il 60 d.C., di terre tra l’Arno e l’Ombrone coltivate a vite e ulivi. Poi, la prima traccia scritta di quest’attività si manifesta in un contratto di affitto vergato in latino dell’804, per l’appunto sulle colline di Capezzana, con il quale la chiesa di San Pietro a Seano concedeva in enfiteusi una sua proprietà: “cum… vineis, silvis, olivetis” (‘con … vigne, boschi, oliveti’).

Il Settecento potrebbe invece definirsi l’epoca della sua consacrazione, in quanto il Carmignano si impossessa della sua primapatente di nobiltà”. Già, attraverso il celebre bando mediceo del 1716 nel quale esso rappresenta uno dei vini (alla pari dell’allora Chianti, Pomino e Valdarno di Sopra) la cui zona di produzione viene delimitata per la prima volta al mondo, tanto per intenderci, un secolo e mezzo prima che la legge sull’Aoc (Appellation d’origine controlée) facesse altrettanto in Francia, su scala ben più vasta. Senza omettere però il Seicento, quando già questo nettare drizza le vele in direzione Nord Europa. In sostanza, due secoli fondamentali per il Carmignano, che marcano il commercio e la sperimentazione, con la dinastia dei Medici indiscussa protagonista, anche nel direzionare il gusto verso vini più eleganti, più autentici e più corposi.

Ma allora, per quale arcana ragione tale vino
di storica rilevanza ridà segni di vitalità soltanto negli ultimi decenni? Poiché, per un lungo periodo, rinuncia addirittura alla propria identità. All’inizio degli anni ’30 del 1900, per lucrare un illusorio vantaggio commerciale, il Carmignano è incorporato nella zona di produzione del Chianti generico. Successivamente viene incluso nel territorio di Montalbano, ma la situazione non migliora per questo: anzi, per un quarantennio, quello che è stato uno dei rossi più pregiati dell’età medicea scompare nel grigiore di una denominazione di scarso risalto. Soltanto alla fine degli anni ’60 i carmignanesi, guidati non a caso da Ugo Contini Bonacossi, rivendicano l’antica e gloriosa denominazione e nel 1975 viene restituita la DOC Carmignano (nel 1998 diventata DOCG), con la facoltà di includere le annate in invecchiamento fino al 1969.

Una delle peculiarità che hanno sempre contraddistinto il Carmignano è infine la presenza nell’uvaggio di vitigni quali il Cabernet Franc e Sauvignon, uve presenti in zona in effetti da parecchi secoli. Un Supertuscan ante litteram, anzi di più, il primo vino toscano a dichiarare ufficialmente nella propria composizione la presenza di Cabernet (il cui vitigno viene impiantato in zona nel XVIII secolo come uva francesca) in unione al Sangiovese.
 

 

VILLA DI CAPEZZANA: SIA UNA PERLA ARCHITETTONICA, SIA UN VINO DI SONTUOSA ESPRESSIONE

Il bello è che, oltre a godere di tali e fini sorsi, nel microcosmo della Tenuta di Capezzana si respira ancora il fascino della storia e dell’arte. Nel corpo aziendale (suddiviso in 100 ettari di vigneto, 140 di oliveto e 350 di bosco), tra l’antica cantina del Cinquecento, il moderno frantoio e l’affascinante vinsantaia, domina la figura della Villa, un autentico gioiello.

Gli interni - dal “Salottino Impero” alla “stanza di Elena” fino alla “sala grande” del piano nobile - sono un fiorire di quadri preziosi, mobili d’antan e una serie di oggetti d’arte che farebbero la felicità di un antiquario. Fuori, l’occhio spazia per la vellutata campagna ritmata da poggi, vigneti, boschi e innumerevoli strade sterrate.

Villa di Capezzana diviene quindi un’autentica lezione di stile, al tempo stesso, architettonico rinascimentale ed enologico. Una sua verticale (1930-2017) svoltasi alcuni mesi fa, ha stampato in bocca e nella mente non solo l’innegabile caducità delle vendemmie, ma soprattutto l’esorbitante coerenza delle facoltà sensoriali.

Aggiungete poi, se volete, l’annata perfetta (1969), per intenderci quella baciata da Dio, ed otterrete un vino capace di dare enormi soddisfazioni e di far viaggiare la mente in chissà quali meandri.

E se le etichette più recenti (2010, 2016, 2017) rimarcano le peculiarità principesche della denominazione (pregevole struttura, elevato contenuto polifenolico, ottimo tenore di grassezza e piacevolezza, intensa componente floreale di mammola e fruttata di ribes e mora, seguita talvolta da note di spezia e cacao); le annate vecchie e ultra-vecchie (1930, 1969, 1974, 1977, 1981, 1995) raccontano un altro vino, ancora più sensazionale, nel mormorare un fantascientifico impianto di erbe officinale all’olfatto, accompagnato da una disarmante setosità tannica al palato. In una sola parola: incredibilmente vivo!


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