Il cibo Italiano: Oltre Oceano, amata e storpiata

Perché gli italiani si agitano così tanto quando si parla di cucina e cibo? Esiste un'appropriazione culturale del cibo? La cucina italiana può sopportare lo stress delle modificazioni? Vediamo cosa ci racconta Sara Porro...

Di Sara Porro
Apr 14, 2021
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COSA HA SCATENATO L'ULTIMO OLTRAGGIO CULINARIO
 

L’ultima controversia in ordine di tempo è stata causata dal NYT Cooking, popolarissima costola dedicata alla cucina del prestigioso New York Times, reo di aver proposto una “bolognese” vegana: invece della carne negli ingredienti ci sono funghi e noci, e persino due cucchiai di “marmite” - la crema spalmabile a base di lievito molto amata nel Regno Unito, che in Italia i più non hanno mai sentito nominare - come scorciatoia per quel gusto umami che nel tradizionale ragù emiliano deriva dalla lunga cottura della carne.

Nei commenti, gli italiani sono insorti: chi scherzando, chi furibondo, chi con un trattatello sul rispetto della cucina italiana “autentica”. Qualcuno si sbilancia a parlare di “colonialismo culturale”: «Non usate il nostro patrimonio culturale: noi italiani troviamo offensivo questo processo, espressione latente di una mentalità razzista», addirittura.
 

 

GLI “ITALIANS MAD AT FOOD”

Le reazioni degli italiani di fronte a versioni “imbastardite” delle ricette tradizionali sta diventando un filone di contenuto web a sé - e il NYT stesso, che negli stessi giorni aveva proposto una carbonara con il pomodoro, sembrava pronto alle inevitabili critiche, al punto di aver concluso la presentazione della “bologneseeretica dicendo: “provatela prima di gridarci contro, okay?”.

Too little, too late: non è bastato a placare gli “Italians mad at food”, come si chiama anche un irresistibile pagina Facebook che raccoglie i commenti degli utenti di fronte alle interpretazioni creative di ricette della tradizione italiana: di fronte all’account ufficiale UK della catena di supermercati Aldi che consiglia di “lasciare la pasta a bagno tutta la notte così che il tempo di cottura si riduca a un minuto”, la replica è un lapidario “But why?”.
 

 

LA STORIA CON LA “s”... MINUSCOLA

La storia del cibo è, senza dubbio, una storia di contaminazioni e di evoluzione. Spesso sembriamo dimenticare quanto sia una storia recente: moltissime delle ricette simbolo della tradizione italiana non hanno più di un secolo nella loro forma riconoscibile, e a volte molto meno. Si cita spesso che l’ingrediente icona della cucina italiana, il pomodoro, sia arrivato dalle Americhe a metà del sedicesimo secolo, quando l’idea di “Italia” si era già consolidata (per non parlare del caffè!), ma più interessante  - e più sorprendente - è ad esempio che la “tradizionale” pizza napoletana, a lievitazione diretta, sia fatta con farine “forti”, ad alto contenuto proteico, che arrivarono in Italia soltanto con il piano Marshall alla fine della Seconda Guerra Mondiale - solo poco più di settant’anni fa.

Anche la santa Carbonara - sia vero o meno la leggenda che la vuole nata dalle razioni per la colazione dei GIs americani - non ha storia più lunga.
 

 

CIBO COME CULTURA

La questione è forse meno banale di quanto sembri a un’occhiata superficiale. Almeno a parole, siamo tutti dell’idea che sia importante “rispettare” le altre culture, e cos’è la tradizione culinaria di un paese se non una parte - nemmeno trascurabile - della sua cultura materiale? Nello stesso modo in cui ci poniamo il problema dell’“appropriazione culturale” - che non è solo prendere a prestito elementi di altre culture e farli nostri, ma è farlo senza dar loro il giusto contesto, mantenendo solo la superficie, l’aspetto estetico di un accessorio o di una pettinatura, senza rispettare il contenuto - è giusto da parte di noi italiani pretendere il riconoscimento della nostra identità culinaria, oppure ci scaldiamo per niente (come quella pasta tenuta in ammollo, ormai non commestibile)?

Ci sono circostanze in cui il concetto di “appropriazione culturaleapplicato al cibo può essere valido: ne abbiamo visto l’esempio nelle ultime settimane, quando gli americani di origine asiatica si sono trovati a dover rivendicare Love our people like you love our food”, di fronte all’impennata di crimini d’odio contro le persone di origine asiatica nell’ultimo anno: in questo contesto, non è forse problematico che spesso a fare fortuna con ristoranti di cucina asiatica siano bianchi, che magari promuovono una versione “clean eating”, per palati occidentali, di una cucina nazionale?

 

CUCINA ITALIANA RICONOSCIUTA IN TUTTO IL MONDO

Il discorso per la cucina italiana, oggi, è radicalmente differente. La nostra cucina è ormai universale, una melodia che ciascuno ha nelle orecchie, una palette di sapori e ingredienti. Le frodi in commercio - come le imitazioni del “Parmigiano Reggiano” o dell’Amarone - sono sempre da sanzionare: quanto al resto, la cucina italiana - che è cucina di povertà, di sostituzioni, di espedienti - ha le spalle abbastanza larghe per infinite reinvenzioni, storpiature, “twist” delle ricette originali.


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