Paolo Lopriore - Le Migliori Opzioni Italiane a KM0

Esplora uno degli chef contemporanei più sottovalutati d'Italia, Paolo Lopriore. Scopri l'emozionante cucina di Lopriore: locale, deliziosa e unica.

Di Sara Porro
Mar 03, 2021
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Nel 2013 Fool Magazine, una delle riviste di cibo più influenti e di tendenza per i foodie accaniti, interpellò in un sondaggio cuochi celebri e opinion leader del settore, chiedendo loro chi fosse “lo chef più sottovalutato al mondo”. Tra i risultati spiccavano due nomi: uno era quello di Albert Adrià, noto ai più solo come fratello di Ferran, in realtà inventore quanto e più di quello delle tecniche di cucina molecolare che segnarono per un decennio l’alta cucina mondiale.

L’altro nome sulla bocca di tutti - incluso René Redzepi del celebre Noma - era quello di un italiano: Paolo Lopriore.
 

 

LA SOLITUDINE DEI NUMERI UNO

Intendiamoci: Lopriore non era certo uno sconosciuto: quando al compianto Gualtiero Marchesi, il “Maestro” della moderna cucina italiana e primo italiano ad essere premiato 3 stelle Michelin, chiedevano chi fosse il più talentuoso tra i tanti celebri suoi allievi, citava sempre Paolo Lopriore.

Eppure, Lopriore ha avuto una carriera non tradizionale, soggetta a cambi repentini di direzione e a battute d’arresto: celebre fu l’addio tumultuoso alla Certosa di Maggiano, dove era stato premiato al ristorante Il Canto con una stella Michelin poi “ritirata” a seguito delle proteste dei clienti del favoloso resort, che si aspettavano probabilmente il classico comfort food di lusso.
 

 

L’AMARO COME PALETTE

Invece, trovavano i piatti di Lopriore: una cucina intransigente, a tratti quasi bellicosa, con una predilezione per l’amaro ben prima che la Nuova Cucina Nordica lo promuovesse nel canone dell’alta cucina, evidente in piatti signature come Lumache al verde, Ravioli alla mandorla amara, panna, piselli e prosciutto o Petto d’anatra alla genziana.

Seguì un passaggio al Kitchen di Como, anche questo di breve durata, e poi una stagione ai Tre Cristi di Milano, dove Lopriore aveva proposto una cucina più classica, di alto livello tecnico, in cui aveva cominciato a emergere il tema dei piatti a centro tavola, proposti in condivisione. Lasciato anche i Tre Cristi, Lopriore è infine tornato “a casa”, aprendo ad Appiano Gentile, in provincia di Como, un piccolo ristorante con una singola sala e un cortile con il bersò per le giornate calde.
 

 

TUTTO IN FAMIGLIA

Finalmente libero da vincoli esterni, qui Lopriore propone una cucina conviviale con un forte legame con il territorio, a partire dall’uso di pesce d’acqua dolce. Della sala si occupa sua mamma, a volte presa in contropiede dalla pronuncia di tecniche o ingredienti ostici - soprattutto giapponesi, una tradizione che Lopriore ama molto - nei piatti in menu.
 

 

UN RISTORANTE PER TUTTI, MA NON PER MOLTI

La gestione familiare è parte di una mentalità che vuole il ristorante accessibile, per tutti; a km0 non solo nelle materie prime ma anche nella clientela: lo scorso autunno, quando fu annunciato il coprifuoco alle 23, Lopriore pensò un menu a 35 euro nella tradizione di “pane e companatico”: una pietanza centrale importante come riso, polenta o timballo di crespella, e piccoli piatti satelliti con cui comporre il piatto.

Anche gli ingredienti, ovviamente, sono locali - non solo per questioni ambientali, ma anche perché la cucina esprima il luogo, ne parli: ad esempio, il pesce è esclusivamente di lago, una tipologia di ingrediente ancora guardato con diffidenza a livello gastronomico: anche se il gusto è eccellente, l'approvvigionamento è difficile e irregolare (la pesca in lago somiglia più a una caccia), e il lavoro in cucina spesso complicato dalle lische. O anche: Lopriore sceglie di non utilizzare verdure rosse, perché da queste parti non vengono coltivate, ottenendo una cucina dolce nei sapori e fredda nei colori.

Nella maturità del suo percorso, appare chiaro che la cucina di Lopriore non è mai stata di protesta, o di una rottura; è piuttosto una cucina documentaristica, che testimonia la verità del cuoco, e che in questa fase si esprime nel portare in tavola il gesto, e di conseguenza il prodotto, del luogo dove si trova.

 

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