Scopri la cantina Borgogno in Piemonte

Una leadership giovane alla storica cantina piemontese Borgogno. Nuovi vini e nuove etichette assicurano spazi continui alla rinomata cantina delle Langhe.

Di Francesca Ciancio
Apr 19, 2021
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Volti nuovi - la guida giovanile di Borgogno ottiene grandi risultati

La nascita di Borgogno e la storia contemporanea


È stato sicuramente uno degli acquisti più prestigiosi nel mondo del vino italiano. Nel 2008 Oscar Farinetti compra infatti l'azienda Giacomo Borgogno&Figli che consente al fondatore di Eataly di far suo un pezzo di Langa piemontese davvero invidiabile. Innanzitutto per la storia, tra le più antiche in circolazione, data di nascita 1761, ad opera di Bartolomeo.

È per iniziativa però di uno dei 4 figli, Giacomo, e del nipote Eugenio Giuseppe, che la cantina assume le caratteristiche di una vera e propria casa vinicola, ottenendo addirittura, nel 1848, un incarico ufficiale di fornitura di vino al Collegio per i figli degli ufficiali dell’Esercito Sabaudo a Racconigi.

Giacomo ed il figlio fanno crescere l’azienda grazie ad un alto livello qualitativo dei vini che consentono al Barolo Borgogno di essere scelto in occasione di importanti eventi ufficiali, come i festeggiamenti per l'unità d'Italia nel 1861 e il banchetto in onore dello Zar Nicola II di Russia durante la sua visita al Castello di Racconigi all'inizio del secolo.

Alla morte, precoce, di Eugenio Giuseppe, la conduzione dell’azienda passa al figlio Giacomo, ma sarà con l’avvento di Cesare – che, nato nel 1900, prende la direzione della cantina nel 1920 - che la Borgogno conoscerà il suo momento “magico” consolidando la propria immagine di azienda classica del Barolo, conquistando numerosi mercati internazionali, impostando un lavoro di ristrutturazione e ampliamento delle cantine di vinificazione.

Proprio in quei anni viene presa la decisione di accantonare circa il 20% di ogni grande annata di Barolo per farla maturare almeno 20 anni nella propria bottiglia. L'idea era di certo lungimirante e rivoluzionaria per quei tempi, ma Cesare Borgogno lo descrivono esattamente così. Alla sua scomparsa la conduzione aziendale passa al ramo familiare Boschis.

 

Mr Eataly arriva in Langa

L'acquisizione avvenuta nel 2008 da parte di Oscar Farinetti - a ruota seguirà quella di Fontanafredda - è di quelle che riempie diverse colonne di giornale. Da subito l'imprenditore di Alba ha dovuto fronteggiare diverse critiche, in primis, quella di "tradire" la vocazione di un'azienda tradizionalista come Borgogno.

In realtà le prime azioni della famiglia Farinetti vanno nella direzione di un percorso conservativo con la ristrutturazione dell'edificio principale e il mantenimento delle storiche cantine del 1761. Soprattutto colpisce l'approccio del giovane Farinetti, Andrea, il più piccolo dei dei figli di Oscar, che fresco di laurea in enologia, affronta questo marchio prestigioso. Lo fa nel rispetto delle lunghe macerazioni, delle botti grandi, di un Barolo sottile, del ritorno del cemento per le fermentazioni di alcuni rossi. Insomma, il classico logo con la scritta bianca su fondo nero non sembra voler cambiare poi di tanto il passo.

Piuttosto la tenuta cresce, si arriva a 31 ettari di vigneto più una decina lasciati a bosco. I nomi dei cru sono tra quelli più belli di Langa: Cannubi, Cannubi San Lorenzo, Liste, Fossati, San Pietro delle Viole, per un totale di 60% di uve a Nebbiolo, mentre il resto si suddivide tra Dolcetto, Barbera, Freisa.

Il lato bianchista della Borgogno vede protagonisti il Riesling e soprattutto tre ettari di Timorasso, una delle ultime scommesse della famiglia, ovvero credere nella denominazione Derthona con l’acquisto di tre ettari nel Tortonese.
 

 

Quanto è attuale la tradizione

Forse questa è stata la scelta più moderna che i Farinetti potessero fare, ovvero lasciare sostanzialmente tutto com’era, ovviamente con i dovuti cambiamenti tecnologici e la scelta del biologico, conversione iniziata nel 2016 e terminata tre anni dopo. Il solco è quello della classicità, dei Barolo austeri, che seguono la strada di macerazioni prolungate a cappello sommerso senza l’utilizzo di lieviti selezionati e di lunghi riposi in botti di rovere di Slavonia.

Il Barolo rimane il “vino della casa”, ovvero la sua etichetta di pregio con circa 60mila bottiglie prodotte all’anno. Senza dimenticare il Barolo Chinato, che segue ancora la vecchia ricetta del marchio storico che prevede l’utilizzo di un Barolo Riserva come vino base e oltre 40 erbe aromatiche.

Poi ci sono state le novità, il bianco che arriva dopo oltre 200 anni di rossi, con il Riesling “Era ora!”, una scelta non casuale quella dell’uva famosa in Mosella: l’intento infatti è quello di puntare di nuovo su un’etichetta longeva. Promessa che Borgogno fa anche con il Timorasso. L’uva di Monleale è di certo tra quelle che offrono maggiori garanzie sui lunghi invecchiamenti e avere avuto un consigliere come Walter Massa di certo ha aiutato a credere nel Derthona.

In questi anni le provocazioni non sono mancate: il Barolo non barolo No Name, con l’etichetta dal chiaro intento polemico, il Barolo Resistenza, la gamma limited edition dei Barolo 2006 con etichette colorate. Tutti gesti che in altre denominazioni avrebbero fatto poco rumore, ma che nella Docg più famosa di Langa ha fatto storcere più di qualche naso.

Risultato? È che se n’è parlato sempre tanto e alla prova dell’assaggio sono prodotti che non deludono.

Oscar Farinetti d’altronde non ha certo idee troppo legate al passato e il figlio Andrea, poco più che ventenne si è assunto l’onore e l’onere di occuparsi enologicamente parlando di un marchio come Borgogno.

È con lui che facciamo due chiacchiere per capire come “giovane e antico” trovino la giusta combinazione.
 

 

Q: Termini l’Enologica di Alba e come primo lavoro hai da rimettere mano ai vini di Borgogno. Che paura a me verrebbe da dire! Invece tu?

A:  E invece avere vent’anni aiuta, perché hai ancora quella sana incoscienza che ti fa iniziare le cose senza troppe remore. Inoltre sapevo di essere fortunato e in più avevo  - e ho – un padre che mi lasciava fare. Realizzavo un sogno che aveva preso forma dinanzi a una bottiglia di Barolo Borgogno del 1982: assaggiandola dissi a me stesso, voglio fare questo lavoro e voglio fare un vino così”.
 

 

Q:  E una volta che hai iniziato a confrontarti con questi vini cosa hai pensato di fare?

A: Ne ho assaggiati tanti ovviamente, per cercare di capirne al meglio lo stile.

La cifra era quella della classicità e io volevo rispettarla, ma al contempo mi accorsi che c’erano delle annate meno armoniche. Ho iniziato a fare dei cambiamenti in cantina, adottando le fermentazioni spontanee e abbandonando i tini in acciaio per sostituirli con il cemento.

L’annata della svolta è stata la 2010. Poi sono passato alla campagna per la conversione in biologico del vigneto a partire dal 2014. Abbiamo studiato a fondo le zone per far emergere le  peculiarità dei cru e abbiamo puntato sulle menzioni per caratterizzare ogni singola etichetta.
 

 

Q: Per un trentenne che fa vino in Langa che significato ha l’espressione “cambio generazionale”?

A:  Nel mio caso non c’è stato un passaggio di testimone diretto, ma il confronto con i miei coetanei sul territorio c’è eccome. Siamo consapevoli della  responsabilità che abbiamo, che poi è quella di rispettare il pensiero di grandi uomini del vino che contavano anche per le idee che avevano, non solo per quello che producevano.

Affrontiamo tutto ciò con grinta ma non con presunzione. Sicuri di poter lasciare anche noi il nostro segno. È quello che sta accadendo anche nella sommellerie: ragazze e ragazzi sempre più preparati che studiano nuovi modelli di narrazione. Oggi serve un po’ più di pancia, oltre alla testa”.
 

 

Q:  Parlando di giovani nel mondo del vino non possiamo non menzionare due parole chiave: sostenibilità e biodiversità. Tu come ti poni?

A:  Per me sono sempre state fondamentali le “tre parole chiave”di Slow Food, ovvero Buono, Pulito e Giusto. Importanti anche nell’ordine in cui sono. Se i nostri padri hanno avuto il compito non semplice di rendere il vino buono e costante nella resa qualitativa, è nostro compito adesso occuparci della salvaguardia dell’ambiente – e Borgogno ha preservato otto ettari di bosco - e assumerci la responsabilità sociale delle aziende che dirigiamo, perché la dignità del  e sul lavoro è il prossimo focus fondamentale.
 

 

Q:  Dici Borgogno e pensi ai Barolo, eppure esiste un’anima bianchista del marchio da quando ci sono i Farinetti…

A: Infatti nel 2012 è nato “Era ora”, l’etichetta di Riesling che ha interrotto dopo 250 anni la lunga teoria di rossi in Borgogno. Volevo fare un omaggio a mia madre che non ama bere rossi, ma al contempo volevo un’uva che fosse all’altezza del prestigio del Nebbiolo.

Nel 2012 pensavo che quell’uva potesse essere il Riesling, ma mi sbagliavo e ne ho avuto conferma qualche anno dopo quando, nel 2015, arrivò a me e a mio padre alle 3 del mattino un messaggio sul cellulare da Walter Massa. Il produttore di Timorasso ci invitava a considerare Monleale come il territorio ideale per l’azienda Borgogno in chiave bianca.

Rispondemmo poche ore con un sms di approvazione. Ecco come è nato il nostro Derthona, da un errore di valutazione mio e dall’aver riconosciuto che il Piemonte ha un grande bianco autoctono e questo è il Timorasso.
 

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