Fa strano pensare che “Ribolla” sia il nome dell’uva più digitato nei motori di ricerca in Italia. Eh sì, è trend topic, nell’argomento vino, da tempo e questa notorietà sul web ha anche un risvolto reale tra gli scaffali dei supermarket, dopo le etichette che riportano questa parola hanno vita facile nelle vendite.
La Ribolla Gialla, storico vitigno autoctono che ha trovato in Friuli-Venezia Giulia la sua terra di elezione, in particolare nelle province di Gorizia e Udine, ha in un produttore friulano - ma anche un po’ sloveno - uno dei suoi alfieri più convinti, ovvero Josko Gravner, con l’azienda omonima a Oslavia, sui colli goriziani che, diciamolo subito, con gli scaffali della grande distribuzione non c’entra niente.
L’accoppiata Ribolla/Gravner è da anni vincente: se cerchi l’uno trovi l’altro, una immedesimazione fortissima, così forte che ci si è “dimenticati” che Gravner fa anche il vino rosso. È la figlia di Josko, Mateja Gravner, da un po’ di anni volto e voce della cantina in giro per il mondo, a raccontare questa cosa un po’ buffa, ovvero che tra gli amanti, gli appassionati ma anche tra gli esperti del vino, tanti son convinti che la cantina di famiglia sia esclusivamente bianchista.
Un’idea sbagliata alimentata dai social che hanno sempre e solo raccontato una sola delle due facce. E Mateja su questo fa anche un “sereno” mea culpa, dando il via al racconto del rosso, protagonista di una mattinata trascorsa insieme e di questo pezzo che state leggendo
Il rosso secondo Josko Gravner: o è Pignolo o non lo è
Si chiama Breg ed è il rosso di casa Gravner, ma non è uno dei rossi, ma il solo vino rosso ormai che ha un futuro presso casa Gravner. Qualcuno conosce nomi come Rujno o Rosso Gravner, etichette fatte con uve come il Cabernet Sauvignon e il Merlot, bottiglie tuttavia che andranno scomparendo dalla cantina di Oslavia - il prossimo Rujno è previsto nel 2035 - per lasciare spazio al solo rosso prodotto con uva Pignolo, l’unica pianta che Josko ha deciso di coltivare, insieme alla Ribolla Gialla.
Un vino che ha una procedura lunga e paziente: fermentato sulle bucce in tini di legno fino al 2005, in anfora interrata dal 2006, con lieviti indigeni e senza alcun controllo della temperatura. Viene affinato in botti di rovere per 5 anni e in bottiglia per almeno altri 5 anni. Inoltre viene Imbottigliato con luna calante senza chiarifica né filtrazione.
Una scelta che agli altri può essere parsa estrema, ma che al viticoltore di confine è sembrata l’unica possibile.
Eppure i suoi uvaggi internazionali riscuotevano successo eccome negli anni ’90, ma, complice una grandinata devastante e un viaggio in California nel “parco giochi” delle grandi wineries, Josko decide di dedicarsi esclusivamente agli autoctoni, di abbandonare la vinificazione in acciaio e di adottare metodi più tradizionali di vinificazione come le lunghe macerazioni e l’uso delle grandi anfore in terracotta interrate, secondo la modalità classica della zona di Kakheti, nel Caucaso, risalente a migliaia di anni fa. Inoltre c’è la regola del 7: il cambiamento biologico dell’essere umano avviene con i cicli di 7 anni ciascuno, allo stesso modo i vini necessitano di un invecchiamento di 7 anni, uno in anfora e sei in botti grandi.
La scelta del Pignolo fatta da Josko Gravner
L’ultima annata in commercio è la 2007 e arriva dopo 5 anni di botte e 9 di bottiglia. In batteria ci sono anche le 2003, 2004, 2005 e 2006, ma prima di passare alla degustazione soffermiamoci sul Pignolo, un vitigno antico, presente in Friuli da moltissimi anni: le prime notizie scritte risalgono già al XIV secolo e testimoniano una diffusione a macchia sulle colline di Rosazzo in provincia di Udine.
Nella zona di produzione di Oslavia non è però riconosciuto né dalla DOC né dalla IGT e Joško deve imbottigliarlo come vino da tavola. Particolarmente sensibile all’oidio, quest’uva era praticamente sparita dalle liste ampelografiche già nel XIX secolo. Alcuni vecchi ceppi ritrovati nelle vigne dell’Abbazia di Rosazzo offrirono la possibilità di un recupero. L’interesse di Gravner per questa tipologia si fa strada già nei primi anni’80, anche grazie all’incoraggiamento del giornalista e critico Luigi Veronelli, ma le prime barbatelle vengono piantate negli anni ’90.
Oggi le viti sono 12.000, con una produzione molto variabile nelle diverse annate, che oscilla da 1.200 a 3.000 bottiglie. Gli ettari della cantina sono circa quindici, ma sempre più spazio è dedicato al verde, ovvero giardini, alberi, essenze arboree e arbustive e poi gli stagni, perché l’acqua che serve a insetti, animali e piante sta rigenerando in maniera naturale l’ecosistema del posto. Come è accaduto nel vigneto Runk, che ha sempre ospitato la Ribolla e gran parte del Pignolo: qui è nato il primo stagno.