La Pizza è il cibo d'asporto più ricercato al mondo su Google

Pizza, ovvero preparazione culinaria, a base di farina di grano (o anche di granturco, castagne, ecc.), impastata con acqua o latte, lievito, uova, e olio o sugna o burro, con l'aggiunta di ingredienti varî e cotta in forno, generalmente in forme rotonde e basse.

Di Francesca Ciancio
Jan 26, 2022
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Pizza, tra le parole più famose e cliccate al mondo

Cinque lettere per una delle parole più famose al mondo, p-i-z-z-a. Quasi 4 miliardi di argomenti legati alla parola su Google, spesso topic trend in classifica, hashtag usatissimo e di conseguenza da evitare perché troppo banale nel proprio profilo Instagram.


Ovviamente in cima alla lista delle ricerche c’è pasta per la pizza, ovvero le ricette per il fai da te in casa.

 

Durante il periodo di lockdown più duro, accanto al bollettino dei contagiati, arrivava anche quello del borsino della farina, prodotto più cercato, insieme al lievito, tra gli scaffali del supermercato. Insomma, la pizza ci ha aiutato a superare un periodo difficile della nostra vita, facendosi usare le mani, affondandole in qualcosa di morbido e che, una volta cotto, riempiva la casa di un odore che sapeva di buono. Alzi la mano chi non c’ha provato almeno una volta.

 

 

Santa Pizza, sapete chi è il patrono del cibo più famoso al mondo?

La pizza ha anche un giorno dedicato, il Pizza Day, ogni 17 gennaio e quindi ha il suo santo di riferimento, Sant’Antonio Abate, il patrono degli animali, dei fornai e, appunto, dei pizzaioli.

 

In realtà la pizza piace sempre e tutto l’anno, come evidenzia un’indagine della Cna Agreoalimentare che parla di otto milioni di pizze sfornate al giorno in tutta la Penisola, per un totale di quasi 3 miliardi in un anno e un giro d’affari di 15 miliardi. Un movimento economico che supera in tutto i 30 miliardi di fatturato e che vede gli italiani in veste di mangiatori di pizza almeno una volta a settimana.

 

 

Pizza, un patrimonio Unesco

Anche l’Unesco ha bussato alla porta della pizza, per assegnare ai suoi maestri, quelli partenopei in particolare, il riconoscimento di “Arte del Piazzaiuolo napoletano” il 7 dicembre 2017 e il web non è stato da meno, tant’è che è nato un dominio dedicato, “.pizza” che ha avuto un buon riscontro negli Stati Uniti e anche in Islanda, molto meno in Italia in verità. Cibo popolare per eccellenza, anche la pizza può costare quanto il più caro dei piatti stellati.

 

Proprio in occasione del world pizza day, il pizzaiolo cilentano Renato Viola, che oggi vive e lavora a Miami , ha creato la Luigi XIIII, una pizza dal costo di 8300 euro, di fatto la più cara al mondo.

Lunghissima la lista degli ingredienti: tra questi tre tipi di caviale diversi, gocce di cognac Louis XIII Remy Martin, ma anche gamberoni rossi di Acciaroli e aragosta di Palinuro, per non far mancare un tribuno alla terra d’origine.

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Cronistoria della pizza, dalla Bibbia ad oggi in pochi e facili passaggi

Il disco di pasta senza condimento ha una storia più che millenaria; la pizza, come siamo abituati a conoscerla, ha circa tre secoli. Gli antenati della pizza sono tantissimi: dal pane azzimo dei seguaci di Mosè in fuga dall’Egitto, alle ricette babilonesi riportate da Erodoto.

 

Anche i Greci avevano la loro pizza conosciuta come planktunos, mentre il poeta Virgilio narrava della pratica dei contadini di impastare la farina con erbe e sale e di schiacciare l’impasto ottenuto prima di cuocerlo. Tra i romani poi era diffuso il pani focacius, una focaccia ante litteram condita con olio, spezie e miele.

 

Formaggio e pomodoro sono ancora ben lontani dall’essere gli ingredienti principali del piatto (anche perché il pomodoro sarà stato scoperto insieme alle Americhe), ma ciò che inizia a essere più simile ai giorni nostri sono i metodi di cottura, soprattutto in epoca medievale e rinascimentale. La prima testimonianza del termine pizza si ha proprio a Napoli, nel XVI secolo, quando a un pane schiacciato venne dato, appunto, il nome di pizza, molto simile al più conosciuto termine “pitta”.


Era il 1535 e nel suo “Descrizione dei luoghi antichi di Napoli”, il poeta e saggista Benedetto Di Falco dice che la “focaccia, in Napoletano è detta pizza”. Parliamo ancora di pizza bianca, che vede lo strutto avere la peggio sull’olio di oliva e il formaggio cominciare a fare capolino tra gli ingredienti. Agli albori del 1600 compare anche il basilico a dare un odore inconfondibile alle prime pizze napoletane codificate.

 

 

L’arrivo del pomodoro: il nuovo corso della pizza

Il pomodoro cambia tutto: questo pomo prima giallo, poi rosso, colora e insaporisce il disco di farina. Viene usato a mo’ di passata fin da subito, ma si inizierà poi a prediligerlo crudo. Sono i decenni in cui la pizza arriva anche sulle tavole regali e non è raro trovarla nei ricevimenti in città dei regnanti Borbone, tanto che nelle cucine della Reggia di Capodimonte vengono costruiti diversi forni a legna per la sua cottura.

 

In quella ambiguità urbanistica che ha sempre caratterizzato la città partenopea e che ha fatto sì che i nobili - oggi i ricchi - vivessero senza soluzione di continuità con i più poveri, la pizza ha rappresentato - e rappresenta - il simbolo più forte di questa contaminazione, un cibo consumato per strada fin dal ‘700 da tutti, senza distinzione sociale. Ed è tra ‘700 e ‘800 che compaiono le prime pizzerie, locali piccoli con forno a vista e banco in marmo per il condimento.

 

 

Nasce la Regina, la Margherita

1889. Re Umberto di Savoia e la consorte Margherita trascorrono le vacanze estive nella reggia di Capodimonte ed è qui che la regina chiede di assaggiare questa pizza di cui si parla tanto in città. Il più famoso pizzaiolo dell’epoca, Raffaele Esposito, si presenta a corte per preparare tre diverse pizze. Su tutte ha la meglio quella che celebra i colori della bandiera italiana con basilico, mozzarella e pomodoro.


Nasce così la Margherita.

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Si fa presto a dire pizza: tra le infinite varianti, ecco le più note

La storia “recente” della pizza la conosciamo un po’ tutti: per facilità di esecuzione e di consumo diventa il piatto italiano più famoso al mondo - si contende il primato con la pasta - ma soprattutto lega il suo successo alle tante correnti migratorie che portano gli italiani - e i napoletani in particolare - in ogni angolo del globo.

 

Difficile avere una stima certa, ma di sicuro sono molte più le pizzerie all’estero che in Italia.

 

Dalla fine degli anni ’90 poi i pizzaioli hanno rivendicato uno status più “nobile” e altrettanto è successo per il loro prodotto, diventato “piatto gourmet”: aumento delle ore di lievitazione, accorta selezione delle farine, topping realizzati con eccellenze gastronomiche, fino ai pairing giusti con i vini e non solo con le birre, la pizza ha macinato sempre più consensi anche tra la critica gastronomica di livello.

 

Tuttavia parlare di pizza al singolare e di sola tradizione napoletana (codificata dal disciplinare internazionale dell'Associazione Verace Pizza Napoletana) taglia fuori dalla narrazione tutto un racconto che vanta diversi altri capitoli. Proviamo a fare un rapido excursus:
 

  •  Rimaniamo a Napoli con la pizza fritta, nata nel secondo dopoguerra e di più semplice realizzazione perché non prevedeva l’uso del forno. Di solito farcita anche con ingredienti più economici.
     
  •  La pizza alla pala, o pinsa romana è uno dei molti orgogli gastronomici della capitale. Si tratta di una pizza croccante, che quando si morde fa "crunch", molto alveolata e leggera.
     
  •  Altro vanto romano è la pizza "alla romana" che segue le precise regole di preparazione del disciplinare APITER (Authentic PIzza in TEglia alla Romana). La pizza è cotta in teglie rettangolari dopo 72 ore di lievitazione e, una volta sfornata, viene lasciata raffreddare su una gratella in modo da permettere all'umidità in eccesso di evaporare lasciando l'impasto friabile. 
     
  • Anche Torino ha la sua pizza, quella al tegamino, o al padellino. Morbida e con i bordi praticamente fritti grazie all'olio con il quale viene unto il padellino. L'impasto è ben idratato e lievitato due volte prima fuori e poi all'interno del tegame in alluminio.

     
  • Direttamente da Pesaro arriva la pizza rossini, dedicata al famoso compositore, una margherita condita con fettine di uova sode e maionese e che può avere diverse forme, dalla tonda alla quadrata, grande e mignon.

     
  • L’interpretazione siciliana - anzi palermitana - della pizza si chiama sfincione: alla vista ricorda una "spugna" (dal latino "spongia") di pasta lievitata in due tempi e condita con salsa di pomodoro e cipolle, acciughe, caciocavallo e mollica di pane.
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3 vini per pizza

  • Uno champagne a prevalenza Pinot Meunier comeChampagne Brut di H.Blin 
  • Lambrusco di Sorbara Leclissi di Paltrinieri 
  • Chiaretto di Bardolino Classico “Keya”, Guerrieri Rizzardi

 

Perché amiamo la Pizza?

Fino a 30 anni fa non vi era alcun dubbio: la pizza era una questione pop, intesa come popolare. Era un cibo veloce, appagante e che costava poco. Il discrimine prezzo era importante.

 

A parità di piacevolezza si sceglieva quella meno cara, senza preoccuparsi troppo di come venisse realizzata. Oggi siamo all’opposto di quell’approccio: tutti - o quasi - sappiamo cos’è un’alta idratazione e guai a mangiare una pizza che ha lievitato meno di 48 ore. 

 

Tra protocolli serissimi e molta comunicazione ingannevole rimane la necessità di salvaguardare un cibo che è di tutti e che rimane per tutti. Qualcosa che offre ancora l’idea di una festa - le prime uscite con gli amici, le prime sere in cui si fa più tardi- o di un break scanzonato- ma dai mangiamoci una pizza, per dire facciamo due chiacchiere senza impegno- credo vada tutelato proprio per il senso democratico che può avere un cibo. 

 

 

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