Vinificazione in anfora di cocciopesto: Tenuta di Ghizzano

Mimesi (Sangiovese e Vermentino) rappresenta il nuovo progetto della Tenuta di Ghizzano per esaltare il terroir con cocciopesto e terracotta

Di Francesca Ciancio
Nov 12, 2021
tagAlt.Tenuta Ghizzano cellar anphora wine cocciopesto


I vini in anfora

I vini in anfora per alcuni sono solo una moda, per altri una via che conduce al rispetto del vino nel suo rapporto con il terroir. In realtà è un contenitore antichissimo che ha fatto viaggiare nel mondo vino, olio e cereali. Tra Italia e Slovenia abbiamo gli esempi più famosi, che molto devono alla tradizione dei vini georgiani, fermentati e affinati nelle Qvevri, le anfore caucasiche divenute poi Patrimonio dell'Unesco.


Erano i contenitori in terracotta per chi faceva vino nel paese dell'ex Unione Sovietica, la Georgia, che è anche culla della tradizione vitivinicola indoeuropea, dove le prime tracce di vinaccioli risalirebbero addirittura al 6000 a.C.


I vini in cocciopesto

La terracotta è anche uno degli ingredienti che vanno a comporre la formula del cocciopesto, materiale edilizio antichissimo e che ora torna in auge proprio nel mondo del vino sotto forma di contenitore vinario

 

Tenuta di Ghizzano e l’uso del cocciopesto 

Raccontare la storia di Ginevra Venerosi Pesciolini è un po’ come entrare in una fiaba, dove c’è un borgo, un giardino incantato, i prodotti della natura, il silenzio della campagna toscana.  


Poi, chiacchierando con lei, si afferra subito il senso reale di una storia di impresa, molto femminile e molto determinata con altre due sorelle impegnate in azienda, Lisa e Francesca, e la mamma Carla. un’azienda dove si produce tutto quello che la terra sa dare: vino, legumi, grano, olio, frutta e ortaggi. In biologico dal 2003 e in biodinamica dal 2006. 


Non è stato però un percorso naturale, né tutto in discesa: “non nasco enologa - racconta Ginevra - e l’azienda agricola era portata avanti a fatica da mio padre perché non era il suo primo lavoro. Avrei voluto propormi fin da giovane, ma diciamo che una donna laureata in queste materie non era contemplata in famiglia. Presi così la strada dell’editoria, settore che mi piaceva molto, ma dinanzi alla possibilità di un impiego a Milano misi mio padre dinanzi a una scelta, o mi tieni in azienda ma retribuita o vado via. Scelse la seconda”. 

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Far conoscere un territorio: le Terre di Pisa e la sua Doc  

Non abbiamo ancora scritto dove siamo: Ghizzano è il nome del piccolo borgo che si trova nella località di Peccioli, in provincia di Pisa. non siamo tanto lontani dal mare, il tirreno dista circa trenta chilometri e la zona è quella delle colline pisane, un pezzo di Toscana molto eterogeneo e ancora non tanto conosciuto. La Doc Terre di Pisa esiste dal 2011, mentre il consorzio, di cui Ginevra è vicepresidente, è nato nel 2018: “la cosa più complicata è convincere le aziende a lasciare l’Igt Toscana a favore della Doc. La prima ha più appeal e vive anche di riflesso positivo della vicina Bolgheri. C’è poi il discorso ampelografico che dalle nostre parti vede una presenza importante di vitigni internazionali che non aiutano a costruire un racconto peculiare, mentre nella Doc Terre di Pisa si può menzionare solo il Sangiovese in etichetta.


Veneroso di Tenuta a Ghizzano

Io ho messo subito il mio Veneroso nella denominazione e non ho avuto alcun calo di vendita, ma capisco che chi fa molte più bottiglie corre rischi maggiori. Anche la parola “ Pisa” è fortissima, ma serve un collegamento con il Pisano come territorio. Io che abito in città vedo fiumane di turisti che visitano il centro storico per poi essere dirottati in Chianti, bisognerebbe portarli da noi”. 

 


Tenuta di Ghizzano. Un luogo in armonia con le forze della natura

In effetti una prima tappa del viaggio potrebbe essere proprio l’azienda dei Venerosi Pesciolini, il cui cuore pulsante è una bellissima villa della metà XIV secolo, con cantine ipogee e 300 ettari di estensione, dove vigneto e oliveto occupano non più di 40 ettari, tutto il resto è bosco e seminativo: “biologico e biodinamica sono stati passaggi non semplici, ma naturali visto l’isolamento in cui sorge la tenuta, un posto totalmente incontaminato - sottolinea Ginevra - dove produciamo olio, ceci, pasta, farro, tutti venduti nel nostro shop. Ho con me a lavorare persone da 20 anni, che vivono nel borgo e che hanno messo su famiglia tra queste mura. ora è il momento di aprirsi di più all’esterno”.  

 


Mimesi, il nuovo progetto della Tenuta di Ghizzano per esaltare il terroir 

Una ricerca, quella di Ginevra per l’integrità, che è sempre in movimento e frutto più recente di questo cammino sono gli ultimi due vini della tenuta, un bianco da uve Vermentino - è un Igt Costa Toscana - e un rosso tutto Sangiovese Doc Terre di Pisa. 


Il nome Mimesi riprende il principio aristotelico di imitazione della natura, in questo caso, in un bicchiere. Da qui la scelta anche di materiali naturali come il cotone per l’etichetta e il cartone riciclabile per le scatole: “mi piace che in questo progetto - spiega Ginevra - tutto abbia una dimensione tattile. E spero che l’abbiano anche i vini, provenienti dai vigneti più storici”.


Il rosso è un Sangiovese 2018, fermentato in cemento e affinato in vasi di cocciopesto, prima di andare in bottiglia; il Vermentino invece è un 2020 e per il suo affinamento sono state scelte delle anfore di terracotta, contenitori, in entrambi i casi, prodotti con materiale “vivo” e per questo in grado di dare personalità ai vini stessi. 


Due vitigni autoctoni, quindi, che raccontano due facce della regione: il rosso inizia ad avere una bella complessità grazie a qualche anno di affinamento, eppure mantiene freschezza e croccantezza grazie anche all’uso del cocciopesto che, dando vita a uno scambio minimo con l’esterno, non irrigidisce troppo il vino, ma lo porta verso un’evoluzione lenta. Il bianco ha una marcia in più dei Vermentino della costa: più corpo, più struttura, una freschezza magari meno immediata, ma un’acidità più vibrante. 

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I vasi vinari in cocciopesto, la scommessa di Drunk Turtle

Sempre in provincia di Pisa, per l’esattezza a Perignano, qualche anno fa è nata la Drink Turtle, una società specializzata nella realizzazione di vasi vinari in cocciopesto. Si chiama proprio così, la tartaruga ubriaca, un nome che secondo Enzo Brini, uno dei quattro soci del progetto, avrebbe potuto creare qualche problema e invece ha portato molta fortuna: “come la tartaruga - racconta Brini - andiamo piano per costruire in modo artigianale i nostri prodotti e lento deve essere anche l’affinamento del vino. Perché poi sia ubriaca è ovvio!”.


Brini è enologo e anche proprietario di un’azienda vitivinicola a Montepulciano, ma sei anni fa coinvolge il padre, un ingegnere e un architetto in questa idea un po’ folle, costruire contenitori di vino in cocciopesto: “sono gli anni delle anfore in terracotta e dei vasi in cemento, ma ci siamo focalizzati su un altro materiale, per giunta antichissimo, usato già dai Fenici e perfezionato dai Romani”. 


I vantaggi dell’uso del cocciopesto nel mondo del vino 

E’ stato lo studio delle malte da costruzione nelle problematiche di restauro, a portare alla messa a punto dei materiali con i quali poi sono stati realizzati i contenitori da vino.


In effetti già nel I° secolo a.c. Vitruvio ne descrive la fabbricazione e l’uso nel suo trattato ”De Architectura”. L’antica miscela veniva utilizzata per rivestire le cisterne, le vasche termali, le terrazze scoperte, gli impluvi delle case, le stanze riscaldate e veniva inoltre utilizzato come intonaco deumidificante. Le anfore invece sono le tracce delle antiche rotte commerciali, usate per il trasporto delle derrate alimentari, ma già i Fenici iniziarono a utilizzarle come strumenti di vinificazione. “la trovata geniale del mio socio architetto - continua l’imprenditore - è stata quella di utilizzare questo materiale, il cocciopesto, meno poroso della terracotta e più simile al cemento come possibilità di interscambio con l’ossigeno, ma con dei vantaggi in più, come, ad esempio, aver ottenuto da subito la certificazione per uso alimentare, perché non vi è alcuna cessione di metalli pesanti, come può avvenire con i contenitori in cemento.


Inoltre non passando per la cottura del materiale, ma solo per l’asciugatura, possiamo aggiungere elementi in acciaio che invece sarebbe impossibile inserire a causa dell’uso del calore. La nostra è una formula perfezionata nel tempo: eravamo partiti dalla calce idraulica come facevano i romani ma non ci dava sufficiente sicurezza strutturale. abbiamo optato per terracotta, pietre dalla granulometria varia, polvere di marmo e di travertino e un dieci per cento di cemento. L’altro passaggio fondamentale è stato quello di creare stampi e controstampi in simil vetroresina che consentono di dar vita a un unico pezzo”.  


Sarà il cocciopesto il materiale del prossimo futuro per il mondo del vino?


Più della metà della produzione finisce all’estero, c’è anche un cliente della birra in Belgio e alcuni distillatori.

Lavorando su diversi spessori - fino a 10 centimetri - possiamo selezionare - spiega Brini - la permeabilità del vaso a seconda della tipologia di materiale (più pietre o più terracotta, ad esempio)”. 


Vino in cocciopesto: Degustazione

Arriviamo al momento assaggio: come questo varia a seconda del materiale utilizzato?

“Se la terracotta, soprattutto all’inizio, rilascia una forte impronta di terra - racconta l'imprenditore- il cemento cede più sentori minerali, soprattutto se non è vetrificato. Il cocciopesto, a detta anche dei nostri clienti, ha un “gusto” più neutro e ha una certa tendenza dolce che potremmo identificare con la sensazione di una maggiore morbidezza”.  


Credere nel cocciopesto sì o no? 

Ciò che antico spesso ci insegna moltissimo, soprattutto se il passato ha a che fare con opere ingegneristiche e architettoniche che ancora oggi fanno mostra di sé, raccontando la saggezza tecnica e creativa di chi ci ha preceduto. Il cocciopesto viene da lì, da quel passato glorioso. E non è un caso che il vino sia suo contemporaneo, perché altro frutto dell’ingegno umano. Il presente di un materiale del genere è nella sua vicinanza a concetti oggi indispensabili nel mondo di un’agricoltura salubre, ovvero sostenibilità, naturalità, scarsa invasività, artigianalità.


Riuscirà a imporsi come contenitore ideale per fermentazioni e affinamenti? 

La risposta è no, o meglio, non è quello a cui puntano coloro che lo creano o lo usano.

Meglio parlare di una valida alternativa a materiali già in voga nel mondo del vino - terracotta pura, cemento, acciaio e legno. La scelta del cocciopesto rivela però, da parte di un’azienda, una volontà chiara, ovvero quella di non marcare in maniera netta il gusto dei propri vini, puntando più alla immediata comprensione dell’uva utilizzata, che a ciò che il vitigno può diventare nel corso del tempo.


Prova ne sia il Sangiovese Mimesi di Tenuta di Ghizzano: difficile immaginarlo tra molti anni, indubbiamente di facile e gustosa beva adesso. 

 

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