Oltrepò Pavese: Vino e cucina, Binomio di grandissima qualità

Una guida alle terre dell'Oltrepò Pavese, con i loro pregiati prodotti gastronomici e i loro vini di alta gamma. L'Oltrepò domina la scena internazionale del vino italiano.

Di Lele Gobbi
May 19, 2021
tagAlt.Vineyards Oltrepo Pavese Landscape Cover

L’OLTREPO’: UN CROCEVIA IMPORTANTE
 

Quella dell’Oltrepò è una ricca storia, che a sua volta si scorpora in tante piccole storie locali, legate ad un signorotto e ad un suo immancabile castello. Già, su centinaia di bricchi, sussistono infatti torri o al limite rovine delle medesime. Una terra di fatto attraversata da vie non secondarie di comunicazione commerciale fra la pianura padana e i porti liguri e da cui derivano, infatti, la collocazione rilevata, l’emergenza visiva dei siti, le necessità di avvistamento e controllo, quelle di difesa e di raccolta.

Ne discende allora uno scenario che non trova monotonie di sorta e dove la disposizione degli insediamenti ha fatto della distintiva morfologia dei luoghi, una condizione per l’arricchimento del contesto: frequenti le collocazioni di crinale, alla base o all’interno di preesistenze castellane; diffusa la distribuzione di piccoli nuclei, casali (con una ricchezza di toponimi che non trova riscontro in altre parti della Lombardia); rare le case isolate.
 

 

GASTRONOMIA DELL’OLTREPO’: UN PANIERE DI SOSTANZA E QUALITA’

L’Oltrepò è dunque un territorio da visitare con estrema cura e dedizione, non frettolosamente, su e giù per le miriadi di fertili saliscendi e i bizzarri intrecci di curve che formano le sue strade, anche per i prodotti gastronomici apprezzati in tutto il mondo: salumi, formaggi, miele, frutta, funghi e naturalmente, vino. Partiamo dal risotto alla vogherese (con i peperoni locali); la mostarda di Voghera (ottimo contorno per carni e formaggi); passiamo poi al Nisso di Menconico, formaggio di lunga stagionatura, chiamato anche il “formaggio che salta o che brucia” dal sapore piccante; il Pizzocorno, formaggio quadrato della Valle di Stàffora dall’aroma intenso e deciso; il torrone di Voghera e la Colomba pasquale, un classico delle feste, la cui origine si attesta intorno al 500 a Pavia per merito di un fornaio che, per placare la ferocia dell’invasore longobardo Alboino, gli recò in segno di pace un pane dolce la cui forma ricordava appunto quella del volatile.

Prodotto simbolo di questa terra è comunque il Salame di Varzi Dop, frutto di una cultura contadina, arrivato fino ai giorni nostri grazie a una consuetudine tramandata nei secoli e ancora oggi preparato seguendo l’antica ricetta. La qualità del salame di Varzi deriva dalla scelta di tutti i tagli del maiale (coscia, spalla, lonza, coppa snervata, pancettoni mondati con il grasso del guanciale, della testata di spalla, del culatello e il lardello) e dal dosaggio ottimale degli ingredienti, secondo le proporzioni stabilite dallo storico disciplinare.
 

 

VITICOLTURA IN OLTREPO’: GRANDE ESPRESSIONE DEL PINOT NERO

Passiamo al vino. L’Oltrepò rappresenta ancora uno dei principali distretti vinicoli nazionali: una vocazione che curiosamente sembra avere il proprio emblema nella particolare forma “a grappolo d’uva”, disegnata dai confini della regione. Qui, la coltura della vite ha radici millenarie: già Strabone (63 a.C. - 23 d. C.), storico e geografo greco, riconosceva che da queste parti abitavano i migliori cittadini dell’Impero Romano, robusti, operosi, capaci di produrre vino da conservare in “botti grandi come casse”.

I sinuosi e generosi rilievi che sovrastano la destra orografica del fiume Po nella parte meridionale della provincia di Pavia, spingendosi fino all’Appennino, rappresentano il trait d’union fra la zona vinicola più orientale del Sud Piemonte, i Colli Tortonesi e la più occidentale del Nord dell’Emilia, i Colli Piacentini. La vocazione alla viticoltura dell’Oltrepò Pavese, detto anche “Vecchio Piemonte” perché in passato apparteneva allo Stato Sabaudo, è perciò e in estrema sintesi quasi innegabile… Analogie, destini, ma soprattutto storia e privilegio di un territorio si intersecano, o meglio, si fondono in una testimonianza ricca di suggestioni e, al tempo stesso, di alterne attribuzioni a molteplici domini.

Una fra tutte che più gradisco evidenziare è quella che concerne la sua posizione geografica, con estrema precisione in corrispondenza del 45° parallelo (ben visibile e dunque sorpassabile sull’A21 del nostro Paese), a metà strada tra il Polo Nord e l’Equatore, fatalmente collocata nella cosiddetta fascia della vite.

Sussistono due aree morfologiche alquanto attraenti: i terreni dei bassi colli, costituiti da rocce sedimentarie marine, con una forte presenza della componente argillosa e quelli dell’alta collina, invece, di origine gessosa.

E’ la grande patria del Pinot Nero “italiano”, dove circa 3000 ettari ci ricordano che siamo di fronte al giardino vitato di tale uva più esteso della nostra penisola (secondo al mondo, dopo sua maestà la Borgogna, giusto per concederci un’impressione).

 

MAZZOLINO: UN DEGNO INTERPRETE DI QUESTO GRANDE VITIGNO

In queste terre bianche, la Cantina Mazzolino è capace di esprimere a meraviglia il Pinot Nero, sia nelle versioni ferme che nella spumantizzazione, sempre e comunque, evidenziando un’impeccabile gestione del terreno: sovescio, concimazione con letame e inerbimento naturale.

“Si poteva fare un grande vino rosso con una varietà elegante e delicata come il Pinot Nero e lui non se lo fece ripetere due volte; d’altronde tutti avevano chiamato questa la collina del Pinot Nero”; ci ricorda infatti e con un bel sorriso Francesca Seralvo, rammentando la lungimiranza e l’acume di suo nonno Enrico. Siamo a Corvino San Quirico, in una sintonia perpetua tra l’uomo e la natura e tra il vigneto e l’uomo.

Ed è un percorso, quello condotto da Francesca, dal validissimo enologo Stefano Malchiodi e dalla preziosissima esperienza di Kyriakos Kynigopoulos, diretto al concetto di terroir (per i francesi), territorio (per gli italiani): quello autentico degli antenati, l’unico passaporto mondiale contro l’omologazione.

E’ tempo di viticoltura sincera. E’ tempo di ritrovare i princìpi di un’agricoltura cosciente, sana e informata, che riconosca il ruolo imprescindibile della terra. E Mazzolino sa bene che è il bello e il semplice, raccontano al meglio le vicende dei luoghi e che gli aspetti essenziali del terreno (fisici, chimici e biologici) devono essere celebrati con passionalità.
 

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