Il Piave visto dalla sua Bellussera e dal suo Raboso, Malanotte

Uno degli eroi meno noti del Veneto, il Piave è un cuore pulsante nella produzione di vini di pregio. Scopriamo perchè i vini Raboso Malanotte possono considerarsi da collezione.

Di Lele Gobbi
May 24, 2021
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IL PIAVE: UN FIUME DI GRANDE STORICITÀ

Il Piave non rappresenta soltanto ed emblematicamente il "Fiume sacro alla Patria", in virtù degli avvenimenti storici avvenuti sulle sue sponde durante il primo conflitto mondiale, ma è anche sinonimo (per noi amanti del nettare di Bacco) di immense distese di vigneti, da un argine all’altro, che creano l’impressione, fin dal primo colpo d’occhio, di abbondanza, sviluppo esuberante e miracolosa ricchezza.

Un fiume alpino che, soprattutto nella parte più dolce e quasi più greca della sua regione - quella di Treviso - “filtra sottoterra e riappare ovunque nella campagna luccicando”. Un corso d’acqua che taglia a metà il Veneto, attraversandolo interamente da nord a sud e che, in definitiva, mette in risalto la sua parte più artistica, equilibrata e graziosa, dove nulla sfugge alla regola e dove la luce e i colori si comportano da assoluti protagonisti durante tutto l’anno.
 

 

LA VITE E L’UOMO: PASSAGGIO FONDAMENTALE NELLA FORMA DI ALLEVAMENTO DELLA BELLUSSERA

Il filosofo francese Michele Serres nel suo Passaggio a Nord-Ovest (1985), cerca un collegamento tra la scienza esatta e le scienze umane, un passaggio raro ed angusto, un cammino difficile da ipotizzare. Cercare un nesso tra la scelta e diffusione delle varietà di vite nel passato e le motivazioni che hanno determinato queste scelte, è un po' come ricercare le relazioni fra i fenomeni biologici e la cultura che ha cercato di spiegargli. Il problema, egli continua, è la complessità, poiché essa caratterizza un sistema in cui il numero degli elementi e quello dei legami in interazione è immensamente grande.

La bellussera esprime bene quest’ultimo concetto di laboriosità, attraverso l’antico e fecondo legame che esiste tra la vite e l’uomo, divenendo, essa stessa, eccezionale paesaggio. Modello esemplare di duttilità della vite e della sua capacità di adattamento ad ambienti e climi estremamente differenti, tale forma di allevamento “multifunzionalenasce dall’intuizione e dall’ostinazione dei fratelli Bellussi verso la fine del XIX secolo nel borgo medievale di Tezze di Piave. Nel coniugare innovazione di materiale (utilizzo del fil di ferro), con esigenze produttive della famiglia mezzadrile, ma anche climatiche (gelate tardive poiché situate le piante in pianura), lavorative (presenza di manodopera) e sanitarie (malattie della vite importate dal nuovo mondo), essi riescono nell’impresa di rappresentare il primo sistema quasi puro di vigna.

Già, la viticoltura deve anzitutto partire da un progetto (a maggior ragione in questi ultimi anni) che, nuovamente, non può essere che vitienologico, ed i cui confini non sono nemmeno delimitati dalla produzione del vino, ma arrivano fino alla considerazione di mercato ed alla commercializzazione del prodotto.

Ogni viticoltore, infatti, partendo da questi assunti, deve trovare la propria via. Ecco allora che la filosofia intrapresa dai Bellussicalza a pennello”, avendo prediletto le migliori tecniche a disposizione in quel periodo, magari anche attenta ai costi, ma specialmente solerte nel non sacrificare l’ambiente e la salute umana.

Un’ingegnosa architettura, funzionale alle esigenze della vigna in pianura, che prevede quattro piante di vite radialmente disposte intorno a un gelso (per l’allora in auge bachicoltura) o intorno a un palo morto, la cui forma attuale, vede la sua composizione dipanarsi in tre ordini di filo zincato, di spessore diverso, disposti sul medesimo piano verticale. Insomma, una vera e propria struttura reticolare spaziale in perfetto equilibrio statico, gravato da una forza che agisce dall’alto verso il basso: una mansione “scippata” ai ragni, con la loro ragnatela di fili, dove il giardino sospeso di tralci di viti continua a stupire per la sua proporzione.
 

 

RABOSO PIAVE: UN VINO MISTERIOSO E SEDUCENTE

La bellussera descrive quindi una memoria vivente di cultura e identità appartenente ad una viticoltura legata al fiume Piave ed alcuni vitigni, in primis il Raboso Piave.

Come diceva Mario Soldati nel suo capolavoro “Vino al Vino” (Mondadori 1969), “il Raboso è un vino pieno di mistero. Forse il segreto è nel terreno: in quelle grave del Piave, cioè in quei terreni ghiaiosi, in quegli antichi greti, in quelle golene tra il fiume e i suoi argini, dove si coltivano le vigne, e dove maturano le uve sotto un sole ardente, nell’aria del mare vicino.”

Un vino che dà vita alla vite, che deve forse il nome alla reazione rabbiosa all’impatto, allo stesso tempo aspro e astringente, che hanno sul palato sia l’uva che la sua trasformazione. La maggioranza dei consumatori ignora ancora la sua grande capacità di invecchiamento, rimanendo altrettanto impressionata, non a caso, per la tagliente acidità e la forte carica tannica. Ad ogni modo, nella sua DOCG Malanotte, tre grandi interpreti ci regalano viaggi pindarici di grande fascino gustativo attraverso altrettante espressioni differenti per stile ed evoluzione.

In particolare, Ca’ di Rajo nel suo Malanotte Docg Notti di Luna Piena 2013 (Bellussi in purezza) l’eleganza e la morbidezza pulsano e si fondono all’unisono. Facchin poi nel suo Malanotte Docg UNNO 2010 (Bellussi e Capovolto), evidenza con maggior intensità il pregevole bouquet balsamico accompagnato da una fine speziatura. Infine De Stefani che, nel proprio Malanotte Docg 2015 (Guyot per via dei suoli argillosi data la loro alta potenzialità in termini di antociani), propone un gran fruttato di confettura di ciliegie, il quale, a sua volta, precede un palato austero e deciso.



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