Ma quanto è buona la Valtellina: l’outdoor nel piatto

Fai una passeggiata tra le delizie dell'area alpina lombarda della Valtellina. Formaggi, latticini e specialità agricole rendono la Valtellina un luogo da visitare immediatamente.

Di Francesca Ciancio
May 31, 2021
tagAlt.Taste the Alps Ciopponi Cheese Cover

La Valtellina è per chi ama stare all'aperto. È la valle che te lo chiede, di camminare, di pedalare, di arrampicarti e poi di far sosta nei prati per bere vino e mangiare salumi e formaggi.

Ci sono posti che sono più "esteriori" di altri. Così come ci sono luoghi che non conoscono la monotonia, non fosse altro per la loro orografia: in Valtellina si passa dai 200 metri del lago di Como agli oltre 4000 del Piz Bernina. Corre per 200 chilometri da ovest a est creando una sorta di avamposto, climaticamente parlando, piuttosto mite grazie a due grandi protezioni, le alpi Retiche che fermano i venti nordici e le Orobie che bloccano l'umidità padana.

Ci mette del suo anche il lago di Como che con la sua breva asciuga l'aria. Altimetrie diverse con conseguenti escursioni termiche sono una delle grandi ricchezze del posto, ovvero una grande varietà di ambienti in cui si producono alcune delle più conosciute eccellenze enogastronomiche italiane.

Mentre il Lago di Como è certamente un luogo che tutti conosciamo e amiamo, il Lago di Garda è anche un luogo da non perdere.  Il lago più grande d'Italia, i vini della zona sono superbi - butta l’occhio sull’etichetta Garda DOC Spumante, così come una scoperta della cucina del Lago di Garda.

Abbiamo testato di persona tutti questi prodotti grazie a Taste the Alps, percorso promozionale percorso dal Distretto Agroalimentare di Qualità della Valtellina, che ci ha accompagnato nei luoghi di produzione e poi in tavola per capire - annusare e masticare -  l'intera filiera. Ecco il resoconto.
 

 

LO CHIAMIAMO SARACENO PERCHE’ E’ SCURO: IL GRANO DELLA VALTELLINA

Cominciamo da un'unicità, la Valtellina è l'unico posto in Italia ad avere un pane nero di tradizione. L'ingrediente a monte è appunto il grano saraceno che, in realtà, non è un grano ma una pianta erbacea dalla cui macinazione si ottiene una farina priva di glutine destinata a vari utilizzi.

Teglio è la "capitale" di questo prodotto e vale la pena fare una passeggiata in queste zone da maggio in poi per ammirare la fioritura bianca della pianta. Perfetto per i climi freddi, difficilmente attaccabile dai parassiti, questo prodotto era utile per sfruttare i terreni nei mesi estivi, nel periodo di riposo dopo il raccolto invernale di segale, patate e orzo.

È stato così fin dal 1600, almeno fino a quando la sua coltivazione non è diventata troppo faticosa su pendii e terrazzamenti ed è stata sostituita da colture più remunerative.  Gli appezzamenti che sopravvivono non sono tantissimi e sono concentrati tra Teglio, Vervio e Postalesio.

Se ne occupa anche Slow Food che ha inserito il prodotto nella sua Arca del Gusto. Considerata a lungo una farina poco pregiata, soprattutto perché in uso presso la cucina povera, il grano saraceno è in realtà la base di diversi piatti diventati molto famosi. La polentaneramiscelata con una parte di farina di granoturco è uno dei piatti forti della cucina valtellinese.

Unita a burro e formaggio diventa polenta taragna, se cotta invece nella panna fresca prende il nome di pulenta ’n fiù, polenta in fiore.  Una sorta di street food alla valtellinese sono gli sciatt: frittelle di farina di saraceno e frumento ripiene di formaggio locale.

La ricetta che però più di altre è sinonimo di Valtellina è quella dei pizzoccheri, tagliatelle fatte con farina di grano saraceno e frumento, cotte con patate, verze o altre verdure condite con burro fuso e con i formaggi della valle quali lo Scimudin, il Casera o il Bitto (ma sui formaggi torneremo). Meno noto ma altrettanto buono è il chisciöl, una piccola focaccia fatta con farina nera e ripiena di casera, possibilmente stagionato.

Se tutto questo parlare di cibo ti sta facendo venire fame, spippolate sulla nostra Indice di Ricette per ispirarvi alle ricette migliore della stagione.

 

PASSIAMO ALL’ASSAGGIO

Prima sosta a Chiuro al Ristorante San Carlo, della famiglia Radaelli dal 1843, sei generazioni di ristoratori che offrono la migliore tradizione valtellinese in fatto di cibo e di vino.

Se non siete da palato schizzinoso il consiglio è di iniziare da un carpaccio di carne salata di cervo ai pistacchi e ai lamponi. Tanto per iniziare a prendere dimestichezza con la montagna.

Super confortevoli poi sono i fagottini di bresaola e formaggio, una coccola saporita saporita.

Se stai pensando a una ricetta di carpaccio più tradizionale, non perderti la nostra ricetta per il Carpaccio di manzo - perfetto per i caldi mesi estivi a venire.

A fine pasto chiedete di visitare la cantina appena ristrutturata, un dedalo di gallerie risalenti anche al XVII secolo che ospita centinaia di etichette non solo locali ma anche italiane e internazionali, più una suggestiva sala di degustazione con tetto a volte in pietra e luci soffuse.
 

 

IL LATO BIANCO DELLA VALTELLINA, IL LATTE DI MONTAGNA

È la montagna, in senso traslato - si intende! - a dare il latte alla Valtellina. Quello di pascolo, ad altimetrie anche importanti dove pascolano le mandrie, un prodotto così genuino da aver ottenuto – nel caso di alcune latterie sociali - l’indicazione di qualità “Prodotto di Montagna” per Decreto Ministeriale.

Cosa lo rende speciale? Si parte dall’animale, nato e allevato in zone di montagna e che ha un’alimentazione basata sul foraggio locale.

Nel bicchiere tutto ciò si traduce in un sapore peculiare e in un dettaglio nutrizionale importante, ovvero con valori in grassi, proteine e caseine superiori a quelli del latte di pianura. Altra caratteristica che connota la forza del comparto è quella della cooperazione.

Impossibile, in zone così impervie e parcellizzate, pensare di avere tante produzioni - di latte e di formaggio – pari al numero degli allevatori esistenti. Ecco che qui entra in gioco il sistema cooperativo.

Ne è un esempio la Latteria Sociale di Chiuro, attiva dal 1957, prima esperienza associativa della Valtellina, nata dalla necessità di trovare una dimensione imprenditoriale al lavoro di molti piccoli allevatori. Oggi i soci sono una ventina compresi nell’area tra Sondrio e Tirano e molti di loro sono in conduzione biologica.

Lo spaccio aziendale è una full immersion nel mondo latte e tra i prodotti più apprezzati troviamo il marchio registrato Alpyò, uno yogurt di solo latte valtellinese in decine di varianti – anche con nocciole o castagne - compresa quella con confetture prodotte dalla cooperativa sociale Il Sentiero che si occupa di reintegrare nel mercato del lavoro persone svantaggiate.
 

 

Dallo stato liquido a quello solido: i formaggi di Valtellina

Il profumo dei pascoli è tra i descrittori principali che si rilevano quando si assaggia uno dei formaggi della zona: molli o molto stagionati devono avere note erbacee e fresche di fieno e di fiori di campo. Succede anche nello Scimudin – chiamiamolo formaggio di entrata – che ha una stagionatura di massimo dieci giorni, è a pasta molle e ha un avvolgente sapore di latte, nonché uno splendido colore avorio.

Sono delle formaggette non più pesanti di un chilo e mezzo che un tempo venivano fatte con solo latte di capra - scimud sta per formaggio - nella zona di Bormio. Oggi si usa solo latte di vacca o qualche volta misto.

Saliamo di grado e arriviamo al Casera Dop, molto usato anche in cucina per insaporire piatti tipici come gli sciatt e i pizzoccheri. Formaggio semi grasso, consumato sia giovane che stagionato, è prodotto solo con latte parzialmente scremato della provincia di Sondrio.

Le casere, sono, per l’appunto, i luoghi di affinamento. Non possiamo parlare ancora di formaggio d’alpeggio, come facciamo con il Bitto, con il quale però il Casera ha in comune origini e Consorzio di Tutela. Condividono anche lo scalzo non piatto che, infatti, è leggermente concavo.

Il casera è il formaggio invernale che andava a riempire il “bucolasciato dal bitto, la cui produzione è solo in alpeggio e nei periodi estivi. Oggi lo troviamo tutto l’anno, mentre la tradizione che rimane è quella produttiva che prevede due o più mungiture di latte vaccino, con quello della sera che viene lasciato riposare in bacinelle e successivamente scremato, mentre quello della mattina seguente viene aggiunto intero.

Per ricevere il marchio Dop deve stagionare almeno 70 giorni. La parte divertente di una degustazione di Casera è quella di poterne assaggiare di più vecchi, dai 300 giorni in su. Qui l’assaggio cambia, si passa da un consumo più sbrigativo a uno più meditativo: il formaggio si scaglia, assume un sapore piccante e una forte nota di frutta secca.

Il vero Casera è fatto solo con latte di razza bruna alpina, una mucca che rischiava l’estinzione e che ora è in recupero in diverse zone di montagna, anche grazie alla sua buona capacità lattifera.

I luoghi di produzione del Bitto Dop invece sono solo gli alpeggi e solo d’estate, quando le mandrie soggiornano nei pascoli in quota. Bitu sta per perenne e perpetua un’antica tecnica di lavorazione risalente ai Celti. Il latte viene cagliato direttamente in quota – tutto vaccino con una percentuale di caprino del 10% se si vuole -  e dopo la lavorazione inizia la maturazione nelle casere degli alpeggi.

Curioso di conoscere i formaggi italiani?  Scopri un po' di più su un casaro toscano, Andrea Magi, che sta creando la sua magia casearia toscana vicino ad Arezzo, nel cuore della Toscana sud-orientale.

 

DOVE CONOSCERE E ASSAGGIARE IL BITTO (E GLI ALTRI  FORMAGGI)

Dicevamo che l’inizio delle maturazioni avviene nelle casere in alta montagna, ma prosegue poi in strutture a fondovalle che sono di solito aziende latto-casearie, ma anche ristoranti, gastronomie e hotel.

Per fare una verticale di Bitto – ovvero assaggiare il formaggio in più espressioni di maturazioni (a partire dai 70 giorni), il posto ideale è Ciapponi, alimentari e coloniali dal 1883 a Morbegnocittà del Bitto per eccellenza tra l’altro - che è un compendio senza eguali di tutto ciò che è la Valtellina in tavola: volte, colonne, celle, cantine a diverse profondità che custodiscono forme di Bitto affinate anche per dieci anni.

Qui l’invecchiamento ha ritmi lentissimi. Banchi di esposizione più moderni li troviamo presso la Latteria Sociale della Valtellina a Delebio, un realtà cooperativa che conta 110 soci e che mette assieme altrettante stalle che vanno dalla Val Furva alla Valchiavenna (e includendo anche realtà delle province di Lecco e di Como), con una media di capi non superiore alle 50 unità.

Nata nel 1969 la Latteria Sociale di Valtellina ha puntato tutto su cinque elementi: tracciabilità completa, latte di alta qualità, rimonta interna, benessere animale e prodotto di montagna.

Sono i più grandi affinatori di Bitto dell’intera provincia, ma allo spaccio aziendale troverete tutta la gamma, a partire dal latte di montagna, passando per burri e formaggi morbidi, prodotti usati anche da grandi maestri in cucina e in pasticceria come Andrea Berton e Pasticceria Marchesi.
 

 

IL SALUME PIU' AMATO DAL WELLNESS, LA BRESAOLA IGP

Curioso come la fortuna di un salume sia legato alla dieta e alla ricerca della forma perfetta, ma ciò è quanto accaduto alla Bresaola di Valtellina Igp che continua a macinare consensi, oltre che per la bontà, anche per il suo basso apporto calorico.

Ricavata dai tagli di coscia bovina di razze italiane ed estere, a renderla peculiare è il clima della zona, ovvero secco e ventilato, condizione che consente poco uso di sale per la conservazione. La carne deve essere morbida e la marezzatura del grasso appena accennata per un un prodotto con una stagionatura non lunghissima, mediamente dai 30 ai 60 giorni.

C’è poi la concia delle erbe aromatiche e delle spezie che è un po’ “il marchio di fabbrica” di ciascun norcino. Per realizzarla vengono utilizzati solo i cinque tagli muscolari più pregiati (punta d’anca, magatello, fesa, sottofesa, sottosso) di bestie di età non inferiore ai 18 mesi e mai superiore ai 4 anni, preferibilmente allevati all’aperto e al pascolo e nutriti con alimenti selezionati.

Tema sempre “caldo” sulla questione Bresaola è quello delle carni provenienti dall’estero (Zebù in primis) a cui risponde Paola Dolzadelli, coordinatrice del Consorzio della Bresaola di Valtellina Igp “È la certificazione che racconta una particolare abilità e specializzazione degli artigiani di Valtellina nel trasformare le carni.

È questa peculiarità – più che l’origine delle carni in sé – a rendere speciale la nostra bresaola. Importante è la qualità delle carni, non l’origine o perlomeno non solo. Oggi le materie prime bovine che utilizziamo provengono soprattutto da Ue e Sudamerica”.

Un salume che viene consumato praticamente solo in Italia e che ha una percentuale bassissima di export e che ha subito un calo di vendite a causa del Covid, ma che è sempre più alfiere di un territorio. Prova ne sia un’indagine Doxa effettuata su un campione di mille persone tra i 18 e i 74 anni, da cui risulta che la Bresaola della Valtellina IGP è il prodotto più noto (conosciuto da 8 su 10: il 78%, contro il 64% dei pizzoccheri, il 58% delle mele e il 47% dei vini, sempre del territorio).

Sempre dalla stessa indagine si evince che almeno sei italiani su dieci sono stati una volta in Valtellina e il boom turistico degli ultimi anni non fa che – pandemia a parte - confermare questa attenzione.

Ecco allora una nuova idea turistico-gastronomica made in Valtellina niente male: dieci panini con la bresaola – e non solo – per altrettanti itinerari di trekking turistico. Si chiama “Destinazione Bresaola” e potrete trovare tutti i percorsi sulla loro piattaforma, e in 25mila guide cartacee in distribuzione a partire da giugno che vi consiglieranno quale tragitto fa al caso vostro.
 

 

DOVE MANGIARNE DI BUONISSIMA ALL’APERTO

Nella piccola frazione di Masino la famiglia Cerasa lavora tutta insieme nell’agriturismo Le Case dei Baff che esiste da oltre 20 anni. Qui troverete il vero “metro 0” perché formaggi, carne, ortaggi, frutta e vino sono tutti coltivati e prodotti negli spazi che circondano l’edificio che conta anche diverse stanze.

Un’azienda agricola a tutto tondo che è anche struttura ricettiva e soprattutto un ristorante con una tradizione ai fornelli di quasi un secolo. La bresaola dei Baff è particolarmente gustosa, morbida, leggermente speziata e magrissima.

Continua ad esplorare le aree culinarie italiane, dai un'occhiata alle specialità gastronomiche della zona dell'Emilia-Romagna - altre delizie ti aspettano!
 

 

SIAMO ALLA FRUTTA: LE MELE DELLA VALTELLINA

Un fine pasto perfetto – o un break tra pranzo e cena - può essere la mela. Quella di Valtellina è un marchio Igp e soprattutto è un frutto di montagna che, come tale, ha tutti i vantaggi di un prodotto che cresce in un clima secco, a latitudini e altitudini spinte e con una escursione termica importante.

Fattori climatici che nella mela si traducono in freschezza, aromaticità e croccantezza. Le tipologie più diffuse sono la Stark Delicious, la Golden Delicious, la Gala e la Fuji, ma fermarsi al solo frutto sarebbe riduttivo e inoltre la mela si presta a molte trasformazioni come ci ha mostrato Melavi, società cooperativa che riunisce 300 soci conferitori, cui spetta raccogliere oltre 20 mila tonnellate di mele tra agosto e metà ottobre.

Dai nettari ai succhi in purezza o mixati con altri prodotti, dalle fette essiccate, alle confetture, il mondo di Melavi ha davvero tante forme e consistenze. L’ultima scommessa si chiama Rockit, un brevetto neozelandese che ha dato vita a una “mini-mela”, uno snack ideale per il fuori casa, per fermare un languorino o da infilare negli zaini dei più piccoli come merendina salubre.

È piccola, saporita, fa crock e ha dalle belle striature di giallo e rosso intenso. Chiamiamola melina, ma solo per le dimensioni.

… del vino valtellinese parleremo in un articolo dedicato. Continuate a seguirci!



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