Il Carso, alle pendici delle Alpi Giulie, è una zona aspra, estremamente difficile da governare. Non solo politicamente in quanto terra di confine, limite ultimo tra Italia e Slovenia storicamente segnato dalle pretese dell’una e dell’altra nazione. È una terra dove il suolo arido e pietroso si mostra anche particolarmente impervio, esigendo sudore e lacrime di chi vuole svelarne la ricchezza. Quei pochi che attendono il sacrificio richiesto però, si trovano per le mani un tesoro.
Edi Kante è uno tra quelli, un instancabile e vigoroso vignaiolo che si è votato anima e corpo alla vite e alla sua terra ma con ancora incerto l’ordine di preferenza. Un lungo percorso che l’ha portato a convivere, financo a esaltare e diventare brillante portavoce delle peculiarità di questo habitat, dapprima attraverso il lungo lavoro di identificazione delle viti più vocate, capaci di resistere alle potenti sferzate del vento triestino e a nutrirsi del magro apporto fornito dall’arido suolo composto da calcare e terra rossa. Scelta non a caso ricaduta sui vitigni autoctoni che sono la bandiera di questo territorio.
Sulla stessa lunghezza d’onda la scelta di edificare, nel 1980, una cantina che fosse un tutt’uno con il Carso, ricavata all’interno di una grotta e disposta su più livelli. Qui i locali di pietra viva ospitano l’uva nelle fasi di vinificazione e maturazione, garantendo naturalmente umidità e temperatura costanti e risultando determinanti nella buona riuscita del vino prodotto.
Vino che, sapientemente accompagnato da Edi in quelle che sono le sue naturali inclinazioni, riflette fedelmente il territorio in cui nasce attraverso un’evidente impronta di salinità che forse è mineralità e acidità. Ciò si ritrova soprattutto nello Chardonnay ‘La Bora’ che, dopo 12 mesi di fermentazione ed affinamento in barrique usate, viene trasferito in bottiglia senza subire filtrazioni e qui sosta per almeno altri tre anni prima di essere svelato al palato dell’avventore. Il risultato è un vino “carismatico”, le cui fresche e delicate note erbacee sposano felicemente la tipica componente burrosa dello Chardonnay. Una struttura che ricorda quella della filigrana, sapida e dorata, che riaccende il sorso e travolge i sensi.
Di grande interesse i vini della linea senza solfiti uscita nel 2018, linea che ha esatto vent’anni prima di mostrare quella pulizia gustativa che rappresenta un dogma per Edi Kante, ottenuta soltanto attraverso una maniacale selezione delle uve, acino per acino. Vini contraddistinti da un'etichetta eloquente che attraverso stalagmiti e stalattiti richiama la grotta carsica in cui prendono forma. Non solo Chardonnay, ma anche Malvasia e Sauvignon, varietà comunque destinate a mutare di annata in annata, a seconda dell’andamento climatico.
Un’annata, quella del 2018, ‘sigillata’ con tappo a corona affinché l’ossigeno non condizioni in alcun modo il processo di affinamento, ma che nel 2019 lascia spazio in parte anche al sughero, in quella che è una continua ricerca della perfezione. Particolarmente intrigante la KM Malvasia 2018, vinificata in breve tempo, solo sei mesi in acciaio, e imbottigliata senza solfiti aggiunti. Un vino che appalesa in spolvero il vitigno in una versione di pura e primigenia fragranza.