RANTAN - Un Ristorante Dove Allontanarti dalla città

Rantan, una cascina nascosta nella campagna piemontese: un oasi lontana dalla città in cui godere di relax di un menu all'insegna della micro-stagionalità

Di Sara Porro
Dec 18, 2020
tagAlt.Rantan Fresh Baked Bread Cover

La pandemia ha portato anche i più “cittadini” di noi a mettere in discussione la vita urbana: gli affitti cari che si traducono in convivenze forzate in spazi limitati, l’assenza di verde e l’inquinamento ambientale, prezzi che si pagano volentieri in cambio delle attrattive della città - i divertimenti, la cultura, le comodità - che l’epidemia ci ha sottratto.

Così, oggi sono in molti a sognare la fuga dalla città - e anche chi resta ha preso consapevolezza forse per la prima volta dell’importanza del “fuori”, a giudicare dall’impennata nelle valutazioni di case con un terrazzo - o quantomeno un balcone.

 

FUGA DALLA CITTA'

Quello che per i più rimane un sogno di escapismo è stata invece una scelta ponderata per Carol Choi e Francesco Scarrone, cuochi e coppia nella vita e nel lavoro, che nell’estate del 2019 hanno aperto Rantan Farmhouse a Trausella, località annidata tra le montagne della Val Chiusella, tecnicamente provincia di Torino, ma a distanza “di sicurezza” dalla città.

Carol e Francesco si sono incontrati quando lavoravano entrambi nelle cucine di uno dei ristoranti più celebrati al mondo, il Relæ di Copenhagen di Christian Puglisi, ma dopo gli anni nell’empireo della gastronomia hanno deciso di aprire un’attività che ribalta molti degli schemi classici di un ristorante tradizionale.

 

DALLE STELLE ALLE STALLE (LETTERALMENTE!)

Per cominciare, da Rantan esiste un solo tavolo comune, per 14 coperti. Il tavolo occupa il posto d’onore nella sala da pranzo con cucina a vista, che è contemporaneamente il “ristorante” e la cucina di casa del bel casolare dove i due vivono, ristrutturato in uno stile che mescola l’estetica della montagna italiana - la pietra, il legno, i camini - e la sensibilità nordica, gli interni minimal eppure pieni di calore che abbiamo imparato ad associare al concetto danese di hygge.

Carol e Francesco cucinano e servono al tavolo un menu unico, per onnivori - ma c’è clemenza per i vegetariani, avvisando in anticipo - a tutti i commensali allo stesso tempo. Da gennaio - quando è in programma la riapertura, situazione epidemica permettendo - saranno previsti solo tre servizi alla settimana: se il pranzo domenicale sarà aperto agli ospiti esterni, la cena di venerdì e sabato è riservata a chi si ferma a dormire in una delle due stanze di semplicità francescana al piano di sopra.

Una scelta atipica, che identifica una via possibile per rendere più sostenibile a livello umano un mestiere - il cuoco - in genere brutale, per il numero di ore di lavoro e l’enorme dispendio di energie fisiche e mentali, per risorse che - lo stiamo capendo forse tardivamente - non sono infinite.

 

UN MENU AGRICOLO DETTATO DALLA MICROSTAGIONALITA'

Da Rantan, il menu è solo l’ultimo anello di una catena che comincia dal lavoro dei campi - si cucina quel che si coltiva, e la scelta è imposta da stagione e disponibilità delle materie prime, una mentalità estranea anche ai più “agricoli” tra i grandi ristoranti del mondo, che comunque ragionano secondo le logiche del settore del lusso. 

Quello che non viene dall’orto e dal frutteto che circondano la proprietà, arriva da produttori locali che condividono gli stessi valori: i mesi freddi non sono - come spesso pensiamo - ingenerosi, ma sono anzi il momento in cui i prodotti freschi raccolti durante l’estate tornano sulla tavola in una vita nuova: conservati sott’olio o sott’aceto, con zucchero o sale, mutati da quell’elisir di lunga vita che è il processo della fermentazione, che trasforma e sapori e consistenze.


 

UNA CUCINA APOLIDE E A KM0

Il pranzo inizia con il servizio del pane, che diventa un simbolo del programma dei cuochi: una forma intera, servita calda impannucciata come un neonato, un pane-pietanza, seguito da una decina di piccole portate, tra assaggi e piatti conviviali. Il cibo non è fedele a una specifica identità geografica: ai due piace cucinare quel che amano mangiare, senza troppi passaggi e manipolazioni, per mantenere i sapori vivi.

Il menu varia ogni settimana, ma ecco alcuni esempi di piatti-manifesto di poco più di un anno di lavoro: Cavolo estivo arrosto con pane di segale tostato, timo, limone; Schnitzel di biete e maionese al finocchio; Patate confit e uova di trota fermentate; Sssam coreano (cioè la pancia di maiale arrosto) con foglie di amaranto e salsa verde con aglio orsino fermentato. Il prezzo dell’intero percorso è l’equivalente di un singolo antipasto nel grande ristorante dove Carol e Francesco hanno cominciato il loro sodalizio: 38€.

Anche se difficilmente una scelta così radicale potrà essere un esempio da replicare per molti, di certo questo esperimento di ristorante gastronomico senza patria, “autarchico” e realmente democratico può essere un esempio luminoso per una nuova generazione di cuochi, nel futuro imprevedibile che ci aspetta.


 

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