L’ALTO PIEMONTE E’ L’ALTRO PIEMONTE: ECCO PERCHE’
Nella dicitura del consorzio dell'Alto Piemonte si parla di nebbioli, al plurale. La motivazione la si comprende perfettamente dopo qualche assaggio, spaziando tra le etichette delle quattro diverse province comprese nell'areale. A volte cambiano anche i nomi dei cloni, passando dalla Spanna al Prunent, ma a fare la differenza sono i suoli, tanti e di diversa origine, una vera panacea per gli appassionati di geologia.
Primo errore, quindi, da non fare, è quello di generalizzare, opponendo i Nebbiolo del Nord a quelli del Sud, per intenderci quelli delle Langhe. Un consiglio, invece, è quello di bypassare i paragoni con le più notorie denominazioni della regione. Per il semplice fatto che è inutile insistere sul confronto.
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L'Alto Piemonte ha nel Monte Rosa il suo nume tutelare che cambia molto le cose e non è il solo elemento a farlo. Da Biella a Novara è un susseguirsi di colline che anticamente costituivano il limite estremo del ghiacciaio del Rosa e qui i vini riportano quasi sempre la dicitura del comune che ne delimita la zona di produzione.
Partendo da Biella troviamo il Lessona e il Bramaterra, in provincia di Vercelli il Gattinara; oltrepassando il fiume Sesia - ecco la provincia di Novara - troviamo il Ghemme, il Boca, il Fara e il Sizzano. Poi ci sono le denominazioni più ampie che prevedono l'indicazione del vitigno e che ricadono in Coste della Sesia, Colline Novaresi e Valli Ossolane.
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VINI DI ACQUA E DI FUOCO
Da un lato i residui di un ghiacciaio, dall'altro la memoria geologica di un vulcano fossile. L'Alto Piemonte dei vini risente di entrambi i fattori, acqua e fuoco e tra questi due estremi si inserisce una varietà pedologica incredibile, anche a distanza di poche centinaia di metri.
E così ritroviamo sabbie soffici di origine marina a Lessona, presenza calcarea a Bramaterra, terra di origine vulcanica a Gattinara, porfidi rossi a Boca e tufi a Ghemme. Ecco perché si parla di Nebbioli e non di Nebbiolo.
Il supervulcano della Valsesia è poi uno dono della Natura unico al mondo. Collocato in un'area che va dal Comune di Balmuccia a quello di Prato Sesia, questo era attivo 290 milioni di anni fa con con eruzioni in grado persino di oscurare l'atmosfera e di alterare il clima globale.
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Le stesse hanno portato alla formazione di una caldera (ovvero uno sprofondamento) dal diametro di diversi chilometri. Dopo 10 milioni di anni di attività, però, il vulcano entrò in una fase di inattività fino a collassare su se stesso. Quando circa 60 milioni di anni fa Africa e Europa sono entrate in collisione, si sono formate le Alpi.
In corrispondenza della Valsesia il rivoltamento della crosta terrestre ha fatto emergere le parti più profonde del sistema di alimentazione del vulcano: così, tutto l'apparato magmatico che un tempo stava sotto, a una profondità di circa 25 chilometri, è emerso permettendoci di ammirare e studiare parti in genere inaccessibili.
Tornando invece all'acqua, il fiume Sesia rappresenta uno spartiacque importante tra le province, anche se, in linea d'aria, parliamo davvero di poche decine di chilometri tra un comune e l'altro.
La "parte liquida" è quella orientale dove il territorio novarese ha terreni composti da ciottoli di origine glaciale portati dal fiume. Il ritiro dei ghiacciai ha creato una serie di morene costituenti un raccordo naturale tra la montagna e la pianura.
Un territorio così ricco e interessante dal punto di vista geologico non può non avere una ricaduta importante sulla parte viticola, a cominciare dal pH dei terreni: caratteristica comune infatti a tutti i materiali è quella di essere a reazione acida, con pH che nel caso di Boca arrivano a un valore di 2,85 (quello dell’aceto è 2,9, per capirci).
Forzando un po' la mano sulle generalizzazioni, potremmo dire dunque che i vini dell'Alto Piemonte si caratterizzano per una buona mineralità già presente al naso e per una accentuata sapidità che si rivela al meglio in bocca. La matrice acida è indubbiamente il marchio di fabbrica e questa perfetta combinazione tra acidità, mineralità e sapidità li rende godibilissimi in tavola anche a distanza di anni.
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È QUASI SVIZZERA: LA PARTE PIU’ NORD DEL NORD PIEMONTE, LA VAL D'OSSOLA
Quasi didascalico l'orizzonte delle vigne della Val D'Ossola: qui senza ombra di dubbio si può e si deve parlare di una viticoltura di montagna in gran parte incentrata sul Prünent il nome del Nebbiolo da queste parti.
Una viticoltura antica che è andata assottigliandosi non tanto a causa della fillossera quanto per lo spopolamento abitativo subìto da queste zone a vantaggio dell'industrializzazione delle vallate.
La Svizzera è vicinissima e lo si intuisce dalle architetture come dall'importanza che ricopre il formaggio da queste parti - in particolare in Val Formazza. Dal punto di vista geologico qui non c'è più ombra di vulcani e di porfidi. Più facile trovare graniti e gneiss, un suolo quindi che rilascia un'acidità meno aggressiva e che fa assomigliare, nei risultati in bottiglia, il Prunent più alla Chiavennasca valtellinese che al resto dei Nebbiolo piemontesi.
Scritture risalenti al 1309 testimoniano la presenza in valle di questo raro clone la cui sua storia è fortemente legata al borgo di Trontano (VB). Qui è facile ancora imbattersi nella Toppia, la pergola arcaica che ha reso possibile la sopravvivenza di viti centenarie e franche di piede, situate dai 300 ai 500 metri su terrazzamenti che sono minuscoli appezzamenti di decine se non centinaia di proprietari diversi.
Da qui la necessità, a metà anni '90, di dar vita all'Associazione Produttori Agricoli Ossolani, per non disperdere né il patrimonio ampelografico né la sapienza viticola che rischiava di scomparire anche per colpa di una eccessiva frammentazione dei terreni.
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