LE INSIDIE E LE DIFFICOLTÀ DELLA VITICOLTURA DI MONTAGNA
Discorrendo di Alto Piemonte, il pensiero può trarre in inganno verso un realistico collegamento ad un’area prettamente montana. Una rilevante verità esiste, ma limitata, poiché la strettissima vicinanza del Massiccio del Monte Rosa ha coadiuvato in passato, e continua tuttora, a connotare tale comprensorio come qualificato, socialmente e agronomicamente, alle zone dove la cosiddetta “viticoltura eroica” è l’interprete principale.
Affermare comunque che tale paesaggio vitivinicolo sdraiato di fronte alle Alpi Pennine, rappresenta la cartina di tornasole di come l’uomo interagisce con il proprio territorio è piuttosto sincero e puntuale.
Non stiamo disquisendo se nella viticoltura di montagna sia esagerato definirla per l’appunto “eroica” o addirittura “estrema”: le insidie e le asperità che attendono i vignaioli sono oggettivamente più forti che da altre parti.
E l’imposizione di una necessaria e delicata manualità di lavoro non basta, perché la caparbietà e la sapienza nel saper controllare le erosioni negli ostici versanti è quello che qui sorprende e, se volete, emoziona.
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LA BELLEZZA NATURALE DELL'ALTO PIEMONTE
Di fatto, quando si costeggia il fiume Sesia, lo scenario è tipicamente collinare e forse bisogna addentrarsi nella Val d’Ossola per assaporare un cenno di profumo montano e rimanere affascinati dai tipici sistemi di allevamento a pergola (localmente detta topia).
Ad ogni modo, uno dei tratti della viticoltura nord piemontese è la sporadicità che si rivela quasi in una forma di riservatezza ed esitazione: qui la vite occorre davvero cercarla, non concedendosi minimamente in maniera perentoria e sfacciata. E’ più la natura, con la sua straordinaria vegetazione e i fitti boschi a impressionare lo sguardo dell’appassionato o del turista.
Il tanto nominato richiamo dell’industria negli anni del boom economico dopo il secondo conflitto mondiale ha totalmente falsato un panorama dove, invece, la vite dominava incontrastata, lambendo i cigli delle strade così come i cortili delle case.
Certo, era una viticoltura difforme, di sostentamento e quantità, molto più che edonistica e di valore come quella attuale, che ha sfirorato l’estinzione.
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IL NEBBIOLO LASCIA IL SEGNO NELL'ALTO PIEMONTE
Oggi la superficie vitata è ben inferiore rispetto al passato (dai 45.000 ettari del primo Novecento si è passati a poco più di 600), ma nel contempo l’Alto Piemonte è riuscito, non senza fatica, a ritagliarsi un ruolo di nicchia e prestigio all’interno del panorama italiano e internazionale, in particolare tra gli amanti del Nebbiolo, sul posto detto Spanna o Prünent in Val d’Ossola.
Geologicamente siamo in una zona molto diversificata come dimostrano i colori della terra e della roccia: le varie morene, sabbie, graniti e porfidi rosa sono però accomunate da una grande acidità nel suolo conferendo strutture complesse e saline.
Potassio, ferro e magnesio sicuramente non scarseggiano e timbrano il Nebbiolo in modo preponderante.
Un vitigno prestigioso quanto stravagante poiché una delle piante dai cicli vegetativi e colturali più lunghi: la prima vite a germogliare, l’ultima a lasciar cadere le foglie. Con due conseguenze fondamentali: da un lato l’esposizione alle avversità atmosferiche durante quasi tutto l’anno; dall'altro, però, la lenta evoluzione delle sue uve garantisce una personalità più complessa e matura al vino che ne se ricava.
Insomma, è un vitigno molto esigente e non solo in fatto di terreno, ma anche di esposizioni e situazioni climatiche, in quanto pretende le migliori.
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VINI NEBBIOLO DA GUARDARE E ASSAPORARE OGGI
Forse in questo splendido areale alcuni nebbioli (talvolta uniti in qualche zona ad altri validi vitigni come l’ottima Vespolina, l’Uva Rara e la Croatina) hanno ancora qualche tratto austero e rugginoso che non sempre evolve in sfumature intriganti con il lento volgere dell’evoluzione in bottiglia.
Se dovessi però optare per tre etichette sparse qua e là tra le varie denominazioni, allora segnalerei per pronta beva in questo momento il Valli Ossolane Nebbiolo Superiore DOC Stella Prünent 2019 di Edoardo Patrone 2019, il Bramaterra DOC Balmi Bioti di La Palazzina 2016 e il Fara Doc Barton 2017 di Gilberto Boniperti.
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