Il Nebbiolo che scala le montagne, i vini di Valtellina

La Valtellina, nel nord Italia, produce formaggi strepitosi e vini indimenticabili. Scoprite cosa rende il Nebbiolo Alpini della Valtellina così delizioso.

Di Francesca Ciancio
Jun 16, 2021
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IL NEBBIOLO CHE SCALA LE MONTAGNE, I VINI DI VALTELLINA
 

La vite in Valtellina è da sempre legata alla storia dei suoi abitanti che per secoli hanno plasmato il versante retico delle Alpi con una miriade di muretti a secco, costruiti a mano, per sostenere i vigneti terrazzati. La fascia coltivata, con esposizione a sud, si estende per 60 chilometri tra i 300 e gli 800 metri di altitudine.

Da qui nascono i grandi vini del Nebbiolo delle Alpi: i Rossi di Valtellina Doc, i Valtellina Superiore Docg (nelle cinque denominazioni: Maroggia, Sassella, Grumello, Inferno e Valgella) e lo Sforzato di Valtellina Docg. Parliamo di duemila anni di storia legati alla produzione di vino nella parte parte più a nord della Lombardia, dove il Nebbiolo prende il nome di Chiavennasca (dal nome della vicina Chiavenna).

La valle scorre da est verso ovest seguendo il fiume Adda che scivola in un letto di granito lavorato nei millenni dall'acqua.

Ora che hai imparato le basi della Valtellina, dai un'occhiata ai cibi che la rendono così speciale.  Non perdere Ma quanto è buona la Valtellina: l’outdoor nel piatto oggi.

 

LE RUPI DEL VINO COME LE VIDE IL REGISTA ERMANNO OLMI

Siamo dinanzi a uno dei paesaggi viticoli più spettacolari d'Italia ad appena cento chilometri di distanza dal capoluogo lombardo e vicinissimi alla Svizzera dove vette come il Monte Disgrazia (3.678 metri) proiettano le loro lunghe ombre sui vigneti sottostanti.

Va da sé che per la maturazione ideale delle uve valtellinesi l'esposizione migliore è quella a sud. La maggior parte dei vigneti valtellinesi si trova su pendii pericolosamente ripidi e ciò rende impossibile la meccanizzazione, mentre la lavorazione manuale porta via 1400 ore per ettaro all’anno. Ogni tanto spunta una piccola teleferica che aiuta a velocizzare il lavoro di raccolta.

Questi viticoltori eroici si muovono su suoli alluvionali, ghiaiosi, ben drenati e ricchi di silice. Le pietre più grandi disseminate ai margini dei vigneti raccolgono calore durante il giorno e lo rilasciano la sera. Questo è un vantaggio importante, poiché aiuta a prevenire le gelate in primavera e modera anche l'elevata variazione di temperatura diurna nella zona.

Parliamo quindi di un clima fresco ma soleggiato che, insieme alle caratteristiche geologiche, crea le condizioni perfette per una viticoltura di qualità, per quanto indubbiamente difficoltosa. Inoltre le fresche brezze alpine e le correnti più calde che soffiano dal lago di Como sono un mix ideale per combattere le malattie fungine in maniera naturale.

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LA FATICA ANCORA ATTUALE DI FARE VINO IN VALTELLINA

Geograficamente ed economicamente la regione ha più cose in comune con la Svizzera che con l’Italia, paese con cui ha avuto un lungo legame. Dal 1512 al 1815 infatti l'area fu controllata da vari cantoni svizzeri, nel 1815 fu annessa all'Italia austriaca e nel 1859 entrò a far parte del Regno d'Italia. Storicamente la valle è stata anche un'importante via commerciale che collegava la pianura padana con la Germania, in passato, altro luogo di destinazione dei vini valtellinesi.

Oggi l’anfiteatro viticolo che ospita il Nebbiolo di montagna conta 2500 chilometri di muretti a secco - diventati Patrimonio Unesco - l’unico modo per strappare del terreno da coltivare alla roccia (d’altronde l’Adda, con le sue formazioni paludose a valle, dava vita niente altro che a pascoli).

Lo disse bene il grande regista Ermanno Olmi che alla Valtellina del vino ha dedicato un documentario, Le Rupi del Vino: “Terra buona, fertile, e sassi: tutto portato a spalle, con le ceste, da donne e uomini. Lì è nata questa cultura eroica, la necessità l’imponeva”.

Una fatica che ha allontanato tanti: se attualmente il vigneto si aggira intorno agli 850 ettari – con corpi unici importanti praticamente inesistenti – nei primi del ‘900 questi erano circa 5000 e ancora 3000 negli anni ‘70.

L’opportunità di posti in fabbrica cresciuti a valle ha dato il via all’abbandono di questi fazzoletti di terra, lasciando spazio ai meleti e al bosco, ma come spesso accade nella viticoltura eroica, il ritorno alla terra è segnato dalle nuove generazioni e anche in Valtellina sono nate aziende che hanno smesso di conferire uva e hanno iniziato a imbottigliare.

A onor del vero anche il forte legame con la Svizzera alla lunga si è rivelato una morsa quasi mortale: infatti un accordo commerciale tra Italia e Svizzera obbligava gli importatori locali ad acquistare una quantità minima di vini valtellinesi. Quando l'accordo si è concluso negli anni '80, l'industria vinicola della regione ha subito un forte arresto. Da qui anche la sostituzione dei vigneti con i meleti.

Immaginate lo sforzo in vendemmia per trasportare l'uva lungo i ripidi sentieri di montagna o attraverso scalinate infinite in piccole ceste – una volta chiamate portini, oggi sostituite da contenitori in plastica. Qualche produttore ha sistemi di carrucole aeree per trasportare l'uva lungo il ripido pendio della montagna, ma sono davvero l’eccezione.

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E DOPO TANTA FATICA, CHE VINI OTTENIAMO?

Dicevamo delle estati calde e secche che con lunghe giornate di sole aiutano a massimizzare i livelli di zucchero nelle uve, creando un mix ideale di zucchero, acidità e maturazione fenolica. Le Alpi Retiche, sul lato nord della valle, bloccano i venti freddi del nord, mentre le Alpi Orobie, sul lato sud della valle, bloccano i venti da sud.

Non vanno dimenticati la breva, l’aria calda che ha origine dal lago di Como e il foehn, un vento secco alpino che a volte scende da nord-est, riscalda la valle in primavera e aiuta a ridurre l'umidità.

Una premessa microclimatica necessaria per comprendere le peculiarità dei rossi della zona, indubbiamente vini di montagna, dal colore vivido e brillante e abbastanza scarico che con l’evoluzione prende tenui note aranciate.

Questo tipo di vini li riconosci guardando attraverso il bicchiere: quasi sempre vedi cosa c’è dall’altra parte, perché non sono mai cupi e densi. I rossi di Valtellina Doc puntano sul colore cremisi e un bouquet di ciliegie e rose, su una leggera speziatura e un sentore minerale che richiama le rocce native.

Il tannino, presente ma quai mai invadente, dà spinta e nerbo. Con i Valtellina Superiore Docg saliamo di livello in fatto di intensità e complessità, anche per i 24 mesi minimo di affinamento, di cui 12 in legno. Inoltre qui incontriamo le menzioni geografiche di Maroggia, Sassella, Grumello, Inferno e Valgella, i cinque cru di elezione della Valtellina. Il vino più noto rimane tuttavia sempre lo Sforzato di Valtellina, conosciuto anche come Sfursat

Questo è stato il primo vino passito secco ad ottenere la Docg, precedendo l’Amarone di sette anni. Pratica antichissima quella di far appassire l’uva prima di vinificarla, al Nord i vini che usavano questo sistema erano detti “vini di paglia” perché le uve appassivano su stuoie di paglia.

Gli Sfursat sono vini secchi e potenti che nascono dalla selezione delle migliori uve Nebbiolo. Queste vengono generalmente raccolte circa una settimana prima della vendemmia principale, dopodiché vengono poste su graticci di legno ad essiccare in un locale detto fruttaio, una stanza che può essere controllata con un deumidificatore o semplicemente lasciata aperta all’azione dai venti.

Il periodo di appassimento può variare dai 30 ai 100 giorni, durante il quale le uve perderanno tra il 20% e il 40% del loro volume, concentrando succo e zuccheri. Nonostante la potenza che caratterizza questa denominazione, va detto che gli sforzati valtellinesi, rispetto ad altre tipologie similari, si avvantaggiano in eleganza nitida e luminosa, nonché in un acidità sempre supportante, grazie a uno scenario di montagna che rende tutti i Nebbiolo delle Alpi vini godibilissimi.


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